A due anni e mezzo dalla pubblicazione del suo ultimo lavoro, SAFE, esce un nuovo EP a firma GOLD MASS, progetto musicale di Emanuela Ligarò, pisana d’adozione, ma sempre profondamente legata all’isola. Se SAFE nel 2021 era stata una piacevolissima sorpresa, quest’ultimo FLARE è una conferma ancora più voluttuosa. Le cinque tracce arrivano compatte a formare una track list coerente che incede per neanche mezz’ora con andamento sinuoso e mai incerto, attestando una precisa visione globale del lavoro e poco o nient’altro lasciato al caso.
Come aveva già lasciato intendere con le sue produzioni precedenti, Gold Mass continua a pescare senza mai farne mistero – e ci mancherebbe – tra le nebbie bristoliane, con la gola sempre tesa a Beth Gibbons e, per certe variazioni, a Martina Topley-Bird, mantenendo scientemente una personalissima e ormai matura gamma di inflessioni e timbri, che finiscono per condizionare, pesantemente e in bene, la resa finale del lavoro, avvicinandola ad approcci come quelli di FKA Twigs e Sevdaliza, altre sue fonti di ispirazione.
Questa volta Emanuela però mette anche mano ai bpm e, volgendo uno sguardo anche ai protagonisti delle dancehall londinesi di quegli anni (Faithless su tutti), dà un piglio nuovo al progetto. Ma nessun revival gratuito: “Come è naturale pensare i miei ascolti cambiano continuamente. Tra chi mi ha ispirato per FLARE, citerei, tra i tanti, anche Bicep, Howling e HVOB, che spiegano dove nasce questa mia attrazione verso una scrittura più dance”. Brano emblema del cambiamento è sicuramente There Should Be Sky Above You, ultimo singolo rilasciato in ordine di tempo e accompagnato da un videoclip nel quale moderne facciate vetrate si fondono con il cielo azzurro che man mano vira sul grigio fino a fare da sfondo agli edifici di Gaza devastati dalla violenza israeliana. “Trovo impossibile restare indifferenti davanti ad un orrore del genere e in un contesto in cui piovono missili e bombe sui civili, è inevitabile pensare che dovrebbe esserci solo il cielo sopra quelle teste, nient’altro”. Una rinnovata capacità di coniugare elettronica, dance e posizionamento politico che conferma, nuovamente e felicemente, l’accostamento ai Faithless di vent’anni fa.
Ma FLARE non è solo questo. È anche e soprattutto un disco interamente autoprodotto con un alto livello di scrupolosità nella scelta e nella cura dei dettagli, che cela un profondo lavoro di cesello nel sovrapporre gli strati senza mai sovrabbondare ed eccedere nel manierismo – rischio sempre concreto in questi casi. Un disco la cui sofisticatezza finale può serenamente non temere confronti con i riferimenti citati e che in questo confuta la convinzione generale che solo le grandi produzioni possono ambire ad alti livelli qualitativi finali. Basta saperlo fare.