Quella di Emanuela Ligarò è una favola urbana, in cui si perdono alcune contraddizioni tipicamente italiche, dalla meritocrazia, all’incrocio impossibile tra formazione/passione/lavoro, fino alla più diffusa percezione che il biglietto per la fabbrica di cioccolato, oggi, lo stacchino solo i talent-show. Succede, poi, che Emanuela, dalla sua stanza a Pisa arrivi fino a Paul Savage (Mogwai e Franz Ferdinand) e, un anno più tardi, sempre dalla stessa stanza, finisca nelle selezioni dell‘Eurosonic.
Con Safe, secondo album fatto in casa per l’artista pisana con sangue sardo, si chiude un primo semestre in cui il bilancio della scena pende a favore del comparto elettronico, con produzioni mature (Hidell), azzardatamente internazionali (Iosonouncane) o che sanno di nuovo – pesante – esordio nella scena (Bluem). A chiudere il giro di boa e fare la sintesi, è proprio Gold Mass, cantautrice garbata, che si muove con passo lieve ma deciso, e che detta lezione dalla sua cattedra di fisica: il tempo, rarefatto e inesorabile, e lo spazio, minimale, ma sempre ben definito, sono variabili che incidono sulla dinamica di un corpo e, dominarle con l’eleganza della Ligarò, significa modellare la percezione di chi ascolta avendone già una chiara visione fin dalla scrittura dei pezzi.
Gold Mass approccia alla musica esattamente come alla scienza, trovando armonia dal caos, campionando assiomi che arrivano immediatamente fruibili, in questo aiutata non poco da una dote canora maiuscola, ancor più amplificata da una suasiva personalità da cui si é piacevolmente sopraffatti. Una scrittura sottile la sua, svuotata ma intensa, che rimbalza all’interno di uno spazio che l’artista modella prima grossolanamente con suoni gravi, per poi dare sinuosita’alle forme attraverso i synth e la sua vocalità avvolgente.
E nell’anno di Ira (17 tracce per quasi due ore), Safe prende forma in un universo agli antipodi, dove due anni di idee sono stati racchiusi in quindici minuti. Quattro pezzi, come le dimensioni della materia, dai titoli sui quali si potrebbe ricamare una filmografia sci-fi, da Nolan a Cuarón.
I temi sonori dell’esordio sono ripresi da SPACE e SOULS, che volteggiano tra atmosfere dark. Il cuore ritmico di Safe è dato dal pezzo omonimo, più sostenuto e stratificato, con il chorus che avvolge e trasporta nell’etere, variando traiettoria ad ogni “safe” pronunciato in sequenza. Con GRAVITY, infine, si tocca la punta più alta dello “spazio dorato”: un duetto tra bassi tuonanti come esplosioni nello spazio e la voce di Emanuela che, nelle note più alte, non svilisce un umilissimo paragone con Beth Gibbons, procedendo per loop, vocalizzi e stratificazioni, in cui archi e tastiere tracciano la malinconica melodia di un brano che eleva ulteriormente il livello del progetto.
Sarebbe fin tropo riduttivo accostare il percorso di Gold Mass alla derivata di una innata dote naturale. Lo è sicuramente nella vocalità e nell’espressione di femminilità uniche della Ligarò, ma è soprattutto l’esempio, nero su bianco, di come dal ridurre ai minimi termini la forma canzone, si ottengano i risultati più efficaci e immediati. È, con buona probabilità, questa la direzione più chiara della canzone moderna, sospesa tra elettronica e un cantautorato che si interessa più al suono che alla posizione delle parole. Una favola urbana, appunto, quella di Gold Mass prodotta da Savage e quella di Emanuela Ligarò all’ Eurosonic. Oppure, a vederla come la vedrebbe Emanuela, la naturale parabola di un corpo su un piano che, con inerzia e anni di studio, lei stessa è riuscita a inclinare verso il successo.