Isole che Parlano - Yazz Ahmed - Inghilterra - Bahrain - monografia - Simone La Croce - Sa Scena - 6 settembre 2022

Yazz Ahmed, l’alta sacerdotessa del jazz mediorientale

Simone La CroceNotizie

Come tanti altri musicisti della sua generazione – nonché della “scena” all'interno della quale è emersa – è nata a Londra nel 1983 da padre ingegnere del Bahrain e madre ballerina britannica, figlia a sua volta di Terry Brown, produttore discografico e trombettista jazz negli anni ‘50. Subito dopo la sua nascita la famiglia fa ritorno in Bahrain e lì ci resta altri nove anni prima di fare ritorno in Inghilterra. Se la figura del nonno ha fortemente condizionato la scelta dello strumento, la collezione di dischi della madre, che spaziava da Dizzy Gillespie a Tubby Hayes, passando per il reggae e la musica classica, ha plasmato pesantemente la sua attitudine musicale. Ma il passaggio fondamentale, dopo il master alla Guildhall School of Music & Drama e le lezioni di Nick Smart, è stato la scoperta di Blue Camel, disco dei primi anni novanta del suonatore di oud libanese Rabih Abou-Khalil, nel quale compariva anche il suo trombettista preferito, Kenny Wheeler.

Mi ha davvero incuriosito perché era un misto di musica araba e jazz. L'ho trovato incredibilmente stimolante e non avrei mai pensato di poter mescolare i due diversi stili insieme. Ciò ha spronato la mia creatività e la mia immaginazione a fondere i miei background musicali in modo che riflettessero quelli culturali“. La musica tradizionale è stata molto presente durante la sua infanzia, “ma non credo di averci pensato molto finché non ho scovato questo album“, continua Yazz. L'ha riscoperto solo in seguito, notando che “nella musica araba ci sono molte regole da seguire, ma anche molta improvvisazione”, come con il jazz, “quindi penso che si fondano bene insieme, non solo a livello musicale ma anche emotivo“.

Un altro fondamentale tassello nel percorso di Yazz è stato l'incontro con i Radiohead. La formazione dell'Oxfordshire l'ha infatti voluta in studio durante le registrazioni del disco The King of Limb nel 2011, durante le quali ha suonato in Codex e Bloom. Una collaborazione non certo casuale, che confermava l'intuizione di Yazz per la mescolanza di generi e suoni, e che ha contribuito a introdurre l'elemento tecnologico nella sua tavolozza. Per lei lavorare con i Radiohead “è stato molto stimolante e mi ha aperto gli occhi e le orecchie all'uso della tecnologia nelle esibizioni dal vivo e allo studio come strumento compositivo, manipolando i suoni preregistrati“. Tendenza agevolata anche dall'incontro con i These New Puritans, che l'hanno iniziata all'uso del Kaoss Pad, il celebre manipolatore audio della Korg.

Ma le sue frequentazioni musicali non si sono certo fermate lì. Nel tempo ha collaborato, in varie forme, con i musicisti più disparati, prestandosi a generi vicini e lontani dalla sua cultura musicale: Toshiko Akiyoshi, Rufus Reid, John Zorn, Ash Walker, la London Jazz Orchestra, Lee Perry, ABC, Swing Out Sister, Joan as Police Woman, Tarek Yamani e Amel Zen, solo per citarne alcuni. Lo spirito che ha animato la rinascita del jazz nei circuiti londinesi, fatto di meticciato, contemporaneità, contaminazione e continue collaborazioni tra artisti, non poteva non coinvolgerla. “Ora viene suonato in luoghi molto diversi, non solo nei tipici jazz club. Lo sentiamo nei locali notturni, nei festival, nelle chiese, nei club underground“. “I musicisti jazz stanno cercando di riflettere la cultura di oggi“, prosegue Yazz in un'intervista rilasciata al Guardian qualche anno fa. “Alcuni di loro sono politicizzati, altri mescolano generi diversi nelle proprie composizioni, le persone stanno esplorando più a fondo i loro background personali“. Nonostante questo imbastardimento del genere, per lei “l'essenza è sempre il jazz e questo lo rende attrattivo anche per le persone che pensano di non amarlo“.

Forte anche la sua attenzione verso la campale questione di genere all'interno del jazz e a proposito dello scalpore sul sempre crescente numero di jazziste donna, dice: “Sento che la forma del jazz sta cambiando“, e ricorda che, da studentessa, i musicisti maschi tendevano “a essere competitivi su chi riuscisse a suonare più alto, più forte e più veloce. Nella mia esperienza, vedo che molte donne sono più interessate a collaborare e fare musica insieme piuttosto che mettersi in mostra“. Ribadisce che “sta cambiando la percezione delle persone su cosa sia una musicista jazz donna e cosa faccia“, e infatti non ha tardato ad arrivare anche il sostegno di programmi come Women Make Music della PRS Foundation e di organizzazioni come Tomorrow's Warriors, di cui si era parlato in un nostro editoriale, grazie ai quali ha ricevuto l'incarico di scrivere una suite sulle “Powerful and Inspirational Women” per il WOW! Festival nel marzo 2015. Le composizioni, accolte con grande euforia dalle musiciste della Nu Civilization Orchestra, sono diventate un disco acclamatissimo dalla critica, Polyhymnia, che, prendendo il nome della musa greca della musica, della poesia e della danza, celebra figure femminili come Haifaa Al Mansour, Ruby Bridges, Malala Yousafzai, Barbara Thompson, Rosa Parks e le Suffragette.

La sua visione musicale era già evidente nel suo album del 2017, La Saboteuse, premiato come Jazz Album of the Year dalla rivista The Wire e posizionatosi in diciottesima posizione nella Top 100 Albums di Bandcamp, dove l'artista stessa si presenta come “High priestess of psychedelic Arabic jazz”. Il richiamo alla tradizione persiana e l'attualizzazione delle sperimentazioni futuriste degli anni ‘70 con i più recenti linguaggi jazzistici, ne fanno un'artista di punta del nuovo panorama jazz mondiale, da tempo ormai non più londinese. Una figura perfetta per il cartellone dell'edizione 2022 di e che conferma il riguardo che il festival riserva, non solo alla contaminazione, ma anche, e soprattutto, ai musicisti della scena internazionale, senza condizionamenti di genere, hype o tendenza.