Gabriele Loddo è un polistrumentista nato a Cagliari nel 1993, ma cresciuto a Carbonia. Qui ha iniziato a suonare con diverse formazioni cittadine, finché nel 2012 ha fatto ritorno nella sua città natale, dove ha sposato progetti come Takoma, Texile, Hip Hoppes e Thunderdome. Nel 2018 è entrato nei Bad Blues Quartet e successivamente ha suonato con importanti nomi del panorama internazionale come Mike Zito, Robert Randolph & His Family Band. Collabora con Davide Speranza, Tom Newton e Cek Franceschetti e, nel 2023, ha accompagnato sul palco del Narcao Blues la cantante e chitarrista di Chicago, Joanna Connor.
Il Corto Maltese è un bar sulla spiaggia del Poetto di Cagliari. Da sempre un crocevia di musicisti di tutti i generi che si alternano sul palco e partecipano a rassegne e festival. La radio del bar sputa rock blues che si mischia col suono del vento e delle onde. Qui, intorno a uno dei tavoli rivolti all’orizzonte, dialogo con il nuovo ospite di Talkin’ Blues per Sa scena.
Ciao Gabriele e innanzitutto grazie per aver trovato del tempo da dedicarci. Ci racconti quando è nata la tua prima relazione con la musica e quali sono stati i tuoi primi ascolti?
Ho iniziato ad avere un interesse inconscio per la musica quando avevo poco più di tre anni: a Carbonia un negozio di strumenti musicali esponeva delle tastiere in vetrina e ho ancora bene impresso il brivido che provavo soltanto a guardarle passandoci di fronte. Le desideravo senza sapere bene cosa farci. A 9 anni ho scelto autonomamente la musica che più mi interessava in maniera quasi compulsiva. Il primo CD in casa lo ho portato io, “Around the sun” dei R.E.M. Lo considero uno dei loro dischi peggiori, ma il brano “Leaving New York” era al momento la cosa migliore che io avessi mai sentito.
Successivamente a questa infatuazione quando hai davvero iniziato a confrontarti con gli strumenti e le note?
A 10 anni ho preso, con pigrizia e poco profitto, lezioni di pianoforte classico finché non mi hanno portato a un concerto dei Felix, una band funk e soul attiva per anni nel Sulcis. Nella band suonava Fabio Bellia, il primo bassista che ho visto in vita mia. Mi è bastata quella prima volta per capire che quello sarebbe stato il mio strumento. Così a 14 anni ho avuto il mio primo basso elettrico a cui ho dedicato intere giornate di studio da autodidatta e nel 2017 ho messo in pratica i miei sforzi suonando per il disco Nowhere Fast dei Thunderdome, collettivo di musicisti e fonici della mia città.
Dopo una partenza legata al rock e altri generi vicini ha poi camminato sulle strade che ti hanno portato al blues. Ci descrivi questo percorso?
Per molto tempo tutto ciò che sapevo del blues lo dovevo ai Rolling Stones, quando ho ricercato le loro radici sono arrivato alla conoscenza del blues elettrico della scena di Chicago, quello di Muddy Waters, Buddy Guy e Little Walter. Nel 2015 ho suonato come chitarrista nei Takoma e ho avuto il mio primo contatto reale con il folk e il blues americano.Un ruolo non secondario è stato avere e a pochi passi da casa il Narcao Blues Festival. Per molti musicisti sulcitani suonarci rappresenta sempre un punto d’arrivo e di partenza e io ho avuto la fortuna di farlo diverse volte e di scoprire in quel contesto artisti come i Dr. Feelgood, Carolyn Wonderland e Roberto Luti.
Fare il musicista come unica professione rimane cosa per pochi ancora oggi, nonostante la musica riempia tutti gli ambienti di questo mondo. Tu riesci a lavorare con una buona continuità in questo settore?
Non sono ancora stabile come vorrei, ma non ho intenzione di fare qualcosa di diverso. Dopo aver concluso un percorso di studi in Jazz al Conservatorio di Cagliari, da diversi anni svolgo attività di insegnamento. Dal 2021 come membro della “Sardica Orchestra” porto in scena nelle scuole primarie e secondarie le lezioni/concerto, patrocinate dal Fondo Unico Per lo Spettacolo, “Jazz Adventure” e “Blues Adventure”. Sono poi molte le collaborazioni in essere sia in studio che sul palco.
Come gestisci il ruolo di musicista nei suoi diversi ambiti? Tu sei un turnista ma anche autore e compositore, come riesci a bilanciare il tuo ruolo nei diversi ambiti?
Diciamo che quando faccio solo il bassista sono un turnista, non mi sottraggo dal farlo, ma preferisco sempre scrivere e arrangiare brani originali. Il basso, dovendo fare da collante tra la ritmica e le parti armoniche e melodiche, mi costringe in qualche modo ad ascoltare tutto ciò che mi accade intorno. Questa condizione è stata la molla per imparare a suonare la chitarra, provare a cantare e suonare strumenti a fiato come l’armonica o il sax e in modo rudimentale il piano e la batteria, tutto utile per costruire una visione d’insieme che fa da base per la scrittura e l’arrangiamento di un brano nuovo.
Oggi, a distanza di una decina d’anni dai tuoi esordi quali sono i tuoi progetti musicali da solista o in band?
Ora l’idea è di raccogliere i frutti del lavoro fatto nel 2023. Alla fine dell’estate sarò impegnato con Joanna Connor in una serie di date in via di definizione. Ho registrato due album, uno con i GolaSeca, “Vida Nova”, che è anche la mia prima esperienza da produttore, uno con i Bad Blues Quartet, “White Gloves” prodotto da Mike Zito. In ambito jazz porto avanti la collaborazione con Paolo Nonnis e la Sardica Orchestra.
Il tuo viaggio con i Bad Blues Quartet è arrivato oggi a fine corsa ma lo possiamo considerare quasi un “colpo di teatro” vista la recente uscita dell’album. White Gloves nel quale hai lavorato sia come musicista che come autore di musiche e testi. Ci racconti questa esperienza?
È il frutto di tre anni di ricerca e di un suono fortemente legato alle radici della musica americana che ha dato luce a un disco di canzoni in forma breve e lineare dove la voce è sempre in rilievo. Questo lavoro ha comportato per la band il cambio di un sound rodato negli anni che ha rimescolato gli equilibri interni fino a determinare la mia uscita dal gruppo a fine lavori. La produzione è stata difficile quanto partecipata e condivisa da tutti i componenti del progetto. È certamente il disco più importante sia per la band e per me.
Nel disco c’è l’autorevole firma, quella di Mike Zito, cofondatore della Gulf Coast Records che vanta tra i tanti i nomi quello di Popa Chubby e Jason Ricci. Come avete lavorato con lui?
Il suo ruolo è stato quello di direttore dei lavori più che arrangiatore anche perché i nostri brani sono entrati in studio già ben definiti e spesso rodati da anni di esecuzioni dal vivo. Ci ha guidato a registrare in presa diretta, voce compresa, sovraincidendo solo quando strettamente necessario. Ha suonato su diversi brani la chitarra, il basso e dato la voce, come in It’s Been Too Long, No More Shuffle e Hot Tub migliorandone la loro resa. Si è sempre posto con grande discrezione e intelligenza, in un dialogo aperto, guidando la nave in porto e lasciandoci in dote un carico di esperienze preziose.
Quale è il miglior insegnamento o consiglio da questa esperienza?
Il fatto che lui viva il blues come il modo più naturale di esprimersi, senza calcoli o ragionamenti. Ogni occasione è buona per imbracciare la sua chitarra anche mentre parla. Ha condiviso la sua storia con tutti noi con molta franchezza e semplicità. Mi ha insegnato che la passione per qualcosa, come per la musica, può sempre farci uscire dalle situazioni difficili e può aiutarti ad essere padrone del tuo destino, almeno in parte.
Come descriveresti lo stato del blues in questo momento in Sardegna?
Non vedo grande fermento attorno a me e questo rende davvero difficile trovare le motivazioni per poi imbarcarsi in un percorso musicale professionale. L’unica cosa che sembra reggere è il comparto dei festival che coinvolgono comunque sempre meno i musicisti locali, sottraendo loro le occasioni di confrontarsi con grandi platee, di collaborare e scambiare con progetti di portata internazionale, nonché di mettersi in evidenza nella scena.
Cosa stai ascoltando in questo periodo e cosa consigli ai lettori di sa scena?
A proposito di musica afroamericana, consiglio di dare un ascolto a Johnny Thunder, in particolare “Verbal Expression of T.V.” e “Watch Your Step” di Ted Hawkins. Tra gli artisti sardi oltre il genere in questione vale la pena recuperare “Villa Gospel” di Franksy Natra, ovvero Stefano Podda, per me tra i dischi migliori mai fatti in Sardegna, e l’album “Observer Paradox” di JoshBurger.
Con questi ultimi consigli salutiamo i lettori di Sa Scena. Buona lettura e buon ascolto, just keepin’ the blues alive!