Karel Music Expo

RedazioneLive report

Il racconto della sedicesima edizione del “Festival delle Culture Resistenti”

Articolo di Luca Garau e Gabriele Mureddu, foto di Emiliano Cocco

Arrivano i sweet sixteen per il . La manifestazione organizzata da Vox Day, che negli anni ha traghettato a Cagliari gente come Tricky, Joe Lally, Marc Almond, Blixa Bargeld e tanti altri, spegne quest'anno sedici candeline. Ospitata nel suggestivo scenario del Lazzaretto di Sant'Elia, la tre giorni di musica resistente, sottotitolata MoviMenti, ha soffiato una piacevole brezza sulla cappa di afa climatica e artistica del capoluogo.

Si inizia giovedì primo settembre. A inaugurare il palco è Sara Persico, sound artist e performer italiana di base a Berlino, che ha sfoggiato il suo armamentario fatto di banchetto, laptop, mixer e tanti tanti cavi. A seguire occupano lo stage i padroni di casa Dancefloor Stompers: groove, cinematografia e ambientazioni poliziottesche trasformano l'ameno Lazzaretto nella caotica Giambellino degli anni ‘70. Sul palco assieme ai quattro musicisti anche la voce di Silvia Follesa e il vocoder di Andrea Piras. È poi la volta di A Temporary Lie, formazione di Cesare Malfatti con Georgeanne Kalweit e la partecipazione di Mauro Sansone alla batteria, Roberto Dell'Era al basso e Raffaele ”Rabbo” Scogna alle tastiere. Per l'occasione è stato proposto l'omonimo LP. Seguono i Mop Mop che riempiono la corte del loro sfrontato sincretismo che unisce la club music anni 80 all'afro jazz di Fela Kuti e quella gente lì. Il compito di dare la buonanotte al pubblico della prima giornata spetta a Daniele Ledda. Il compositore con la sua sperimentazione e i suoi pianoforti è la degna conclusione di questa giornata di apertura lasciando presagire, anche nello schema, tre serate degne di curioso interesse.

A Temporary Lie – Credits Emiliano Cocco

Seconda giornata del Karel Music EXPO e, già dal tragitto, qualcosa non quadra. L'asse mediano è saturo e a Ponte Vittorio c'è troppo traffico: sarà per Capovilla o per Gabrielli, o magari per il theremin di Vasi? I potenti riflettori del Sant'Elia, o quello che ne è rimasto, nichilizzano quel grammo residuo di ottimismo della volontà lasciando carta bianca al pessimismo della ragione: c'è il Cagliari! Ma vabbè, i riflessi sul mare davanti al Lazzaretto e una veloce birretta riaccendono il mood da concerto, appena in tempo per la prima esibizione che è quella degli Esecutori di Metallo su Carta. Enrico Gabrielli, il cui curriculum richiederebbe l'intero pezzo, dirige un quartetto di synth analogici mettendo in scena Plantasia l'opera di utopia botanica di Mort Garson. L'effetto è straniante, Gabrielli introduce i pezzi raccontando di fiori e di piante e poi, con tanto di penna, dà l'attacco alla sua orchestra e un'armonia di oscillatori, LFO e filtri, come per un maccanico incantesimo, diventa la migliore colonna sonora di una rigogliosa e resistente natura. Quando non si è troppo concentrati sul movimento dei fader e dei knob, sembra di assistere a uno spin-off di Super Quark, introdotto, invece che dall'Aria sulla quarta corda, da The Legend of Zelda.

Esecutori di Metallo su Carta – Credits Emiliano Cocco

A seguire salgono sul palco i Confusional Quartet, attempati, sobri, tutto meno che poser, con la classica formazione da cover band degli Europe – batteria (troppo grande), basso, chitarra (strana, ma davvero strana) e tastiere. Appena il batterista stacca il quattro la cover band degli Europe viene presa a calci in culo da quattro pazzi gentiluomini che prendono Devo, Zappa, Matia Bazar, Umberto Boccioni e Tommaso Marinetti shakerando il tutto per servire un cocktail al sapore di nichilismo, ma quello vero. L'esperienza è straniante e ipnotica, leggera e catartica, virtuosa e naif. Il pubblico apprezza, chiedendo e ottenendo di buon grado anche un lungo bis.

L'avvicendamento non è ordinario, non è in climax ma è – forse volutamente – brusco. Sul palco accordano e regolano gli ultimi volumi Egle Sommacal e soci, parte strumentale del progetto Pierpaolo Capovilla e i Cattivi Maestri. Per prima cosa l'istrionico leader si avventura in platea a chiedere di alzarsi dalle sedie, perchè “ai concerti rock, come quando si fa l'amore, non si sta seduti da soli, ma uno sopra e uno sotto o viceversa” e con un inizio così, non si può che mettere da ogni remora sul nuovo progetto e tornare a volergli un bene così grande e così bello che…non ci credo. Via allo show e sebbene il carrarmato rock non sia più il panzer di un tempo, la capacità di tirare dritto e travolgere tutto e tutti è sempre quella lì. Sopra il palco la compostezza e precisione di Egle fa da contraltare al sudore di Federico Aggio al basso e ai muscoli tesi di Fabrizio Baioni dietro le pelli, ma il ruolo vero di matador lo tiene stretto il nostro, regalando incursioni tra il pubblico, comizi e invettive sulla scia dell'ormai consueta chimera con il corpo di David Yow e la testa di Carmelo Bene. In tutto questo non è mancata la pelle d'oca su Anita e, soprattutto, durante la dedica a Lorenzo “Orso” Orsetti, Apo Ocalan e la causa curda.

Pierpaolo Capovilla e i Cattivi Maestri – Credits Emiliano Cocco

Lo show, stilisticamente e anche logisticamente, si sposta sul palco di Vincenzo Vasi e del suo theremin che, casualmente, si esibiscono davanti a una raffigurazione della Ragazza col Turbante di Johannes Vermeer, quasi a voler focalizzare l'attenzione sull'eleganza e la raffinatezza dell'eclettico polistrumentista. La soavità del suono del theremin e la dilatazione ricercata dall'esecutore fanno dell'ultimo concerto una sorta di camera di decompressione dopo la claustrofobia delle esibizioni precedenti fornendo la migliore chiusura per una serata veramente densa. 

Ah, per completezza, al termine di una partita sofferta, il Cagliari ha vinto per una rete a zero.

La terza giornata del KME ospita anche l'ultimo appuntamento col festival letterario “Neanche gli Dei”, nella sala polifunzionale del Lazzeretto: un interessante incontro con l'autore, moderato da un attento e appassionato Giacomo Pisano. La presentazione dell'ultimo romanzo di Gianni Usai (Christian T. pubblicato da Edizioni Il Maestrale e scritto durante il lockdown del 2020) incuriosisce e invoglia alla lettura i presenti, creando un piacevole dialogo con lo scrittore. L'appuntamento è stato involontariamente musicato dal soundcheck degli artisti che si sarebbero esibiti a partire dalle 20:30.

Si comincia con l'artista più giovane, ma di certo non meno agguerrita, tra quelli in cartellone. Giorgia D'Eraclea, in arte Giorgieness, è una cantautrice e chitarrista nata nel 1991 in Lombardia. Sin dalle prime note coniuga perfettamente un cantato pop energico e un'attitudine rock, da cui emergono trascorsi punk in salsa riot-grrrl. Sul palco l'atteggiamento ricorda Kathleen Hanna, Gwen Stefani o Shirley Manson, ma il timbro della voce ricorda lo stile di Annalisa, Margherita Vicario o La rappresentante di Lista. La proposta musicale si regge su melodie accattivanti, che rifuggono le soluzioni ciclostilate e piatte di un certo mainstream italiano radiofonico, come nei brani “Maledetta”, “Che cosa resta”. La sua proposta è formata da diverse coordinate sonore, tra cui spiccano punk, alternative rock italiano di fine '90, cantautorato contemporaneo e il brit rock, ma in modo più accessibile come buona parte dell'ITPop contemporaneo. Giorgia ha ormai dismesso il ruolo di esordiente, dimostrando di avere le qualità per tenere il palco: i suoi testi raccontano sogni, incubi e il quotidiano di “un'antieroina di quartiere”, come si definisce nella bio del suo profilo di Spotify, e in cui più di uno spettatore si è rivisto. 

I Bachi da Pietra, nell'opinione di chi scrive, sono un gruppo che merita di essere visto almeno una volta nella vita. Soprattutto ora che hanno allargato la formazione con l'innesto dell'ottimo Marcello Batelli, capace di alternare scosse telluriche a mantra sonori, perfezionando ulteriormente il suono della band. Li avevo già visti nel 2016, sul palco del Fabrik a Cagliari, quando erano nella formazione originaria in duo (batteria e chitarra e che hanno mantenuto fino al 2021) per il tour dell'ottimo “Necroide” (Wallace,La Tempesta Dischi, 2015). Perciò la mia curiosità, in occasione del loro ritorno, riguardava le vecchie canzoni con la presenza di una sezione ritmica allargata, in cui venivano alleggeriti i compiti della batteria e con l'inserimento della loop station e il synth che hanno creato divagazioni in territorio nuovi per il gruppo. Devo dire che il risultato è eccellente, con diversi brani dall'ultimo lavoro (Reset, Garrincha Dischi 2021) e qualche brano storico . I Bachi sono cinici, con la voce e la chitarra di Giovanni Succi che annuncia l'arrivo dell'era della polvere e della pietra. “Saremo umani o quasi”, cantano mentre la batteria di Bruno Dorella e il basso di Batelli suonano in modo quadrato, impattante e che non lascia prigionieri. La band piemontese risuona come le sirene del post-apocalisse, raccontato lucidamente qualche momento prima del fallout nucleare o dell'ultimo selfie prima della catastrofe. 

Bachi da Pietra – Credits Emiliano Cocco

La VoxDay, organizzatrice del concerto, ha voluto creare un cartellone in cui figurassero musicisti, sonorità e percorsi differenti e talvolta opposti: per soddisfare la platea più vasta possibile, creando un pluralismo sonoro, alternando generi e stili ma dimostrando che la varietà e le differenze possono entrare in sinergia e completarsi a vicenda. Far esibire il giovane britannico Douglas Dare subito dopo l'escalation di decibel dei Bachi poteva sembrare un azzardo, invece è stata una chiave di lettura azzeccata. Lo stesso Douglas, con una gentilezza e un candore ai limiti dell'etereo, si è domandato rivolgendosi al pubblico cosa ci facesse lui sul palco dopo il terremoto sonoro. Invece ha conquistato la platea, ammaliato dal suo talento al piano e dalla sua voce struggente, intensa e limpida. Presenti rapiti dall'esibizione, a tratti bucolica, con una versione estatica e minimal che ha ricordato gli esordi di Antony & The Johnson, Perfume Genius, Thom Yorke e Rufus Wainwright. L'eleganza crepuscolare di Douglas ha lasciato spazi a momenti più sperimentali, quando ha sovrapposto più sequenze vocali registrate in diretta al fine di creare una vera e propria texture sonora psichedelica, ricordando il James Blake di Overgrown.

Douglas Dare – Credits Emiliano Cocco

Giovanni Truppi è stata la degna chiusura della serata, accompagnato da tre musicisti su cui è doveroso spendere due parole. Soprattutto quando si tratta di turnisti del calibro del basso di Luca Cavina (Calibro 35, Zeus, Arto), della batteria di Fabio Rondanini (Calibro 35, Niccolò Fabi, Afterhours, I Hate My Village e nella Propaganda Orchestra su La7) e la chitarra di Alessandro “Asso” Stefana (che in Italia suona con i Guano Padano, Vinicio Capossela e Brunori Sas, mentre all'estero è conteso da Marc Ribot, Pj Harvey, Mike Patton e Micah P Hinson). Lo spessore dei musicisti che hanno accompagnato il cantautore, napoletano e residente da anni a Roma, dà un'idea della qualità delle esecuzioni. Truppi è una penna originalissima, che appartiene a quella scuola di cantautori moderni che parte da Ciampi e arriva a Gazzè, Silvestri, Fabi e Brunori. Ed è soprattutto con questi due che si percepiscono le somiglianze maggiori, per situazioni raccontate, sensibilità, gentilezza e capacità di raccontare il quotidiano con le piccole sfumature di poesia che lo compongono. Un'altra cosa in comune con Fabi è la capacità di arricchire le composizioni in studio, dilatandole e impreziosendole con versioni live di grande respiro e trasporto. Giovanni, con la sua ironia, la sua capacità di parlare di sentimenti senza risultare banale e la sua autoreferenzialità senza arroganza, ha divertito e commosso. Nota a margine:Truppi è l'unico con un fonico personale, segno dell'attenzione che il musicista riserva alla qualità dei suoi live.

Giovanni Truppi – Credits Emiliano Cocco

L'estate sarda del 2022 ha visto una proliferazione di eventi che, dopo i due anni che ben conosciamo, ha contribuito a far riassaporare la normalità. Purtroppo il capoluogo non è stato protagonista di questo rigoglioso calendario. Per questo, mai come quest'anno è azzeccato il sottotitolo della manifestazione “festival delle culture resistenti”.

Ma oltre a resistere, il Karel Music EXPO conferma il suo spessore e la sua ricercatezza, soprattutto nella capacità di offrire un cartellone che riesce a tenere assieme la sperimentazione elettronica, il rock nella sua veste alternativa, e quella patina di anni 80 che contraddistingue, da sempre, manifestazione e organizzatori.