MUSEO NIVOLA ORANI (Nuoro)
26-28 maggio 2023
Live report a cura di Luca Garau e Claudio Loi
A Orani si respira aria buona, quell’aria che ha forse ispirato il genio creativo di Costantino Nivola e che in qualche modo segna anche la vita della sua gente. Si respira il sapore dolce della vita e si percepisce la voglia di essere comunità, di stare insieme e persino di superare un’atavica resistenza al nuovo e al cambiamento che talvolta ci caratterizza. Forse è stato proprio il mood accogliente e pieno di calore a convincere Here I Stay che questo è il posto giusto per portare musica ed emozioni nel cuore della Sardegna. Gli spazi del Museo Nivola e le aree circostanti hanno ospitato per due giorni – il 26 e 27 maggio – artisti, concerti, dj set, laboratori per bambini, presentazioni e dibattiti, ma soprattutto una benefica e salutare invasione di appassionati che da anni è lo zoccolo duro di Here I Stay: una moltitudine di anime che si ritrovano a condividere un rito collettivo laico, solidale e molto glamour. Due giorni che hanno confermato la filosofia di base di questa organizzazione: musica di eccellente qualità senza schemi e senza gabbie di stile o genere, un approccio friendly e orizzontale nel quale ognuno fa parte del tutto e non hanno più ragion d’essere le normali gerarchie dello spettacolo.
Vicino al palco uno striscione pone un enorme interrogativo: What Are We Fighting For? La stessa domanda che si pose Phil Ochs tanti anni fa cercando di capire da che parte andare, da che parte stare. E forse la risposta ce la sta dando Here I Stay nel momento in cui nell’affrontare la sfida dell’isolamento, dell’insularità, del provincialismo più scontato decide di stare qui per fare proprio qui quello in cui crede. E quell’here è più uno stato mentale che geografico, che racchiude la presa di coscienza che tutto è possibile quando si ha voglia di provarci, lasciandosi alle spalle i limiti imposti da un deleterio senso di precarietà. Abbandonare anche quel cagliaricentrismo che spesso pervade questa landa desolata, uscire dalla metropoli e sconfinare là dove soffia il vento, dove si respira il profumo della vita, dove è ancora possibile avere contatti umani semplici e reali. E Orani – ma anche Guspini, Fordongianus, Bauladu, i laghi e le colline più remote – è uno di quei posti in cui Here I Stay ha deciso di stare: in uno spazio segnato dalla creatività di un visionario come Nivola o reimmaginato attraverso le parole di Niffoi.
Anche il festival vive in questa dimensione sospesa tra natura, cultura, creatività, saperi antichi e moderni e un impagabile impulso alla collaborazione e allo stare insieme, anche solo per qualche giorno. Il programma di questa edizione 2023 raccoglie esperienze diverse, talvolta inconciliabili, ma proprio per questo preziose nel loro essere disponibili a partecipare a un progetto comune.
Apre il festival – che bisogna sottolinearlo rispetta gli orari in modo quasi commovente – Artificial Bride, nuovo progetto di Sara Cappai in perfetta continuità con il percorso iniziato tanti anni fa con i Diverting Duo e proseguito con Ramplingg, Memory of Sho e altre storie (che ha sempre condiviso con Gianmarco Cireddu). Elettronica distopica e disturbante, drone music e manipolazioni vocali che si rivelano perfette nel dare colore a un tramonto che lentamente scompare.
Sarà poi la volta di Paolo Angeli – vecchia conoscenza del festival – a fornire le giuste vibrazioni e il necessario calore a una serata che è climaticamente più fredda di quanto ci si potesse immaginare. Il musicista gallurese prosegue il suo lungo viaggio tra i generi e le culture accompagnato, per l’occasione, da una chitarra nuova che ha bisogno di essere conosciuta, capita, assecondata. In realtà questa fase di apprendimento non è così evidente come lui ci ha raccontato, ma questa dimensione è classe pura e talento cristallino. Un artista in continua evoluzione, imprevedibile e cangiante come il suo strumento.
Decisamente su un altro versante la proposta dei Messa, band di Cittadella (Padova) inserita in modo sbrigativo nel filone doom, ma che declina molteplici altre sfumature. Il loro metal è sicuramente debitore della leggenda Black Sabbath e anche l’aspetto ci riporta subito a quegli anni ma tante cose sono cambiate da allora e loro ne sono ben coscienti e la voce di Sara Bianchin rende tutto più fluido e impenetrabile.
Chiude la serata Dion Lunadon (al secolo Dion Palmer originario della Nuova Zelanda) con il suo live ossessivo e martellante ampiamente apprezzato dal pubblico mai sazio del festival. A fine serata il dj set di Stefanothebronx che con la sua selezione black e hip hop ha aiutato a smaltire le birre e il cibo locale.
Sabato si riprende la mattina al Pergola Village (altra idea partorita da Nivola) con il live set di Arrogalla e nel pomeriggio ci si ritrova nei ruderi della chiesa di Sant’Andrea che si rivela un posto magico e incredibile reso ancor più affascinante dalla pioggia che sembra voler minacciare la festa (ma che durerà il tempo di un sorriso…). All’interno della chiesa si è svolta la presentazione dell’Annuario 2022 realizzato da Sa Scena. Nicola Massa della 2214 Agency – che tra le altre cose ha curato insieme a Lia un podcast che racconta il festival – ha chiacchierato con i due che scrivono. A seguire il live set di Fabio Tallo che nel suggestivo scenario delle rovine ha presentato il suo ultimo lavoro Scisto. Al termine dell’esecuzione elettronica di nuovo tutti al Museo Nivola per una serata che si prospetta very cool (in tutti i sensi…).
Saranno i locali Clvbs ad aprire le danze con un rock energico e potente che ricorda band come Idles, ma con un pizzico di cupezza in più. L’inizio è forse un po’ timido, ma trainati anche dalla performance scenica in poco tempo scaldano palco e platea. Si continua con una band storica del rock italiano, i Jennifer Gentle di Marco Fasolo con una proposta very very british e un sound che si diverte a essere parodia di tante altre cose, un po’ cabaret postindustriale, echi vaudeville, qualche spruzzata di glam e umori beatlesiani che ogni tanto appaiono. Fasolo è facile immaginarselo a chiacchierare in compagnia di Ray Davis e di Jarvis Cocker (fantascienza pura e di pessima grana…) in qualche locale della swingin’ London seppur con quella apparente voglia di fare di chi pascola nelle colline padovane. Comunque il loro set è all’altezza della loro fama ed è un vero piacere ascoltare le loro trame sonore che a un ascolto attento appaiono più complesse di quanto sembri. E se la Sub Pop li ha voluti nel loro roster un motivo ci sarà.
Sempre da Londra arrivano The Cool Greenhouse e il gioco si fa maledettamente serio. Sono la perfetta rappresentazione di quello che in questi anni sta arrivando dalla Brexit ovvero una nuova versione del post punk (postpostpunk) che ci ha regalato frutti notevoli. Una formula tanto semplice, abusata e ripetuta che sembra quasi impossibile possa ricrearsi e offrire nuove emozioni. Eppure funziona molto bene: un riff ripetuto all’ossessione, una linea ritmica quasi kraut nel suo citare il glorioso motorik e la voce del cantante che declama, biascica, sussurra e urla e che rimanda alla sofferta melma vocale degli Sleaford Mods o a quella più arty dei Dry Cleaning. Ottimo concerto e pubblico in delirio e una band che bisognerà seguire per capire dove andranno a parare.
Archiviate corde e pelli, sale sul palco Montoya e il suo banchetto di synth e suoni campionati e il museo di Orani si trasforma nel più gourmet dei club danzerecci: culi, anche e braccia si snodano trascinate dalla commistione tra la fredda elettronica e il caldo dei suoni del sud del mondo. La conclusione del secondo giorno e il consueto smaltimento di tossine e adipe sono affidati al set di Vlad e Irregular Alpha. La domenica è il giorno dell’hangover e dei saluti, resi – entrambi – meno crudeli dal secret show sul Monte Gonare. Solo per pochi, in un’atmosfera intima e molto familiare, si sono (ri)esibiti Dion Lunadon e i padroni di casa FORMS, non a caso eredi dei Golfclvb, prima produzione dell’allora neonata HIS.
Here I Stay, in tutte le sue declinazioni, tra festival, eventi durante l’anno, collaborazioni, si conferma anche quest’anno un catalizzatore di passione e dedizione. Dietro il logo ci sono volti facilmente riconoscibili perché sono quelli sempre indaffarati a risolvere la pioggia dell’ultima ora o a spostare il banchetto perché lì ci va lo stand. Una banalità melensa in chiusura, ma solo per dire che non esiste macchina rodata che possa permettersi di funzionare in autonomia, senza una vera componente umana, che con tutti i propri limiti e le proprie idiosincrasie, è ancora l’unico elemento necessario al calore di un evento.