Atlantide Dischi è un’etichetta indipendente, fondata a Cagliari tra il 2018 e il 2019. Sebbene la si possa considerare, per mere questioni anagrafiche, ancora “giovane”, nell’ultimo periodo ha iniziato a farsi conoscere. Il catalogo di artisti conta, a titolo di cronaca, di musicisti e band di provenienza quasi esclusivamente isolana. Nell’arco dell’ultimo lustro ha sviluppato un approccio multiforme, evolvendosi in una label che si occupa di tutte le fasi del processo di produzione e pubblicazione del disco, anche grazie alla collaborazione con il collettivo SHRD, curando il merch, visual e promozione. Per queste e altre ragioni, abbiamo incontrato la mente (e il braccio) dietro Atlantide Dischi, Francesco Sotgiu, che ci ha raccontato il percorso dell’etichetta dalle origini, il modus operandi, la visione alla base del progetto e ulteriori tasselli che permettono di tracciare l’identikit di una delle nuove leve che Gabriele Mureddu ha intervistato per la rubrica “é tutta scena”.
Ciao Francesco e grazie di aver accettato l’invito per questa intervista. Atlantide Dischi è una realtà che ci incuriosisce e vorremmo approfittare di quest’occasione per conoscerla meglio. Ci racconteresti le ragioni che hanno portato alla nascita dell’etichetta? Ci puoi raccontare i primi passi di Atlantide dischi?
Nel 2018 sono stato contattato da Mattia Onnis, un amico che propose di creare un’etichetta indipendente che potesse aiutare gli artisti sardi a mettere a sistema e a organizzare il proprio lavoro. Avevamo notato che nelle nostre esperienze musicali non c’era mai stata progettualità né un punto di riferimento con cui confrontarsi per “costruire le nostre carriere”. L’idea era quella di diventare una realtà che potesse prendere per mano giovani talenti e accompagnarli in un percorso strutturato e coerente. In sostanza volevamo tirare fuori dalle camerette e dalle salette tutta quella musica che spesso non riesce a vedere la luce.
All’inizio ci siamo guardati intorno e abbiamo coinvolto amici o conoscenti nel progetto: li portavamo a casa del padre di Mattia, in una stanza che era poco più di un corridoio (ma che aveva uno stupendo poster di Eddie Guerrero), e provavamo a capire insieme a loro come potessero suonare i pezzi. Registravamo provini e abbozzavamo delle produzioni su un computer poco performante, ma ci immaginavamo anche quali sarebbero dovuti essere gli step di ogni progetto, dalla produzione alla pubblicazione.
AD si occupa prevalentemente di artisti sardi ed è una scelta che apprezziamo senza ombra di dubbio. Ma, nel vostro caso, quali sono le motivazioni dietro la scelta di dare spazio a progetti musicali isolani anziché puntare su un ventaglio di proposte molto più ampio sul piano territoriale?
L’obiettivo di AD è sempre stato quello di curare una selezione di artisti isolana: il potenziale artistico in Sardegna è molto alto e ci sembrava (e ci sembra ancora oggi) giusto dare risalto a chi ha meno possibilità di emergere. Oltretutto, per quanto si viva in un mondo ormai globalizzato, riteniamo che i processi culturali che avvengono qua siano diversi da quelli del “continente” e che abbiano bisogno di una sensibilità diversa.
Quali sono gli elementi che valutate nella scelta di un nuovo artista da portare nella vostra label?
L’attitudine e la capacità di comunicare e trasmettere emozioni sono sicuramente le prime cose che valutiamo quando ci troviamo davanti a un progetto che non conosciamo. Fare musica è qualcosa di intimo, riuscire a lavorare bene dipende anche dalle connessioni che noi stessi riusciamo a creare. Per questo cerchiamo sempre di scegliere chi immaginiamo sia più affine a noi e con cui sappiamo ci troveremo bene.
Ogni etichetta ha il proprio modus operandi e vorremmo sapere quale sia il vostro. Ci puoi raccontare, anche in maniera sintetica, l’iter di produzione e promozione di un disco?
Solitamente si parte da delle bozze dell’artista, immaginiamo con lui la direzione musicale che si vuole adottare e le persone con cui lavorare (produttori, tecnici di mix etc.). Contemporaneamente cerchiamo di creare un immaginario legato ai temi che l’artista porta e costruiamo un’identità che servirà da guida per tutte le operazioni successive: artwork, strategia discografica, promozione e tutti gli altri aspetti coinvolti..
Sulla nostra testata sono passati artisti del vostro roster, come Valucre, Joshburger e Dodo Quartet. Pensi che sia necessaria questa complementarietà tra artisti, produttori e stampa per collaborare nello sviluppo di una scena?
Credo sia fondamentale che si creino più collaborazioni possibili perché dietro ogni incontro non c’è solo la somma di due realtà. Complementarietà, scambi, influenze, queste cose tengono viva la scena e la sorreggono.
Cosa ne pensi dello scenario musicale isolano attuale? Su cosa dovrebbe concentrarsi di più e quali sono, al contrario, gli aspetti da limitare?
Penso ci siano grandi potenzialità e ogni anno sono felice di vedere tanti nuovi giovani artisti che si affacciano anche al mercato italiano. Credo che ancora si soffra tanto la centralità di Milano come capitale della musica in Italia e che si debbano fare tanti passi in avanti per riuscire a mettere a sistema le migliori realtà dell’isola.
Tramite i canali social e le attività di promozione dal vivo, si ha la sensazione che Voi di Atlantide lavoriate molto sull’auto produzione e sul DIY: le copie a tiratura limitata, la realizzazione degli artwork, gli shooting fotografici e gli aspetti di graphic design. Si tratta di un’esigenza economica o di una scelta ben delineata, che esula dalla necessità di rientrare nei costi?
Sicuramente c’è l’esigenza di rientrare all’interno di budget che non possono essere minimamente paragonati con quelli di una major, ma da qualche anno ci vediamo come degli artigiani: la nostra forza sta nel creare qualcosa di unico e nel raccontare una storia con le nostre produzioni. Non è nostra intenzione competere con l’industria musicale almeno quanto non è intenzione di un ceramista competere con i vasi venduti da Brico.
Il percorso di Atlantide si è legato al nome di Shrd. Ci daresti maggiori dettagli sul progetto Shrd, di cosa si tratta e che ruolo ha nella collaborazione con l’etichetta? Sappiamo che sono due entità distinte a livello identitario, ma sono strettamente interconnesse.
SHRD nasce dall’esigenza di non limitarci alla sola produzione musicale. SHRD è un collettivo e un’organizzazione che si occupa di organizzare eventi (anche di formazione), creare format multimediali, produrre merch e non solo. La caratteristica peculiare di SHRD sono le collaborazioni: abbiamo una redazione, aperta a chiunque voglia partecipare e portare idee, che si riunisce ogni settimana. Vogliamo creare ponti con altre realtà, anche non musicali, e fare rete. Shard in inglese significa frammenti: vogliamo fare da catalizzatori di energie e organizzare questi “frammenti” che siano persone, organizzazioni, idee o altro. Anche lo SHRD Studio e Atlantide sono frammenti di SHRD e lavorano sia in sinergia che autonomamente.
Quali sono i prossimi step che vorreste affrontare?
Nei prossimi mesi lavoreremo su alcuni progetti discografici di Atlantide che probabilmente verranno pubblicati tra la fine dell’anno e l’inizio del prossimo. Quindi sicuramente tanta musica, ma non solo: vogliamo proporre un nuovo modo di intendere il merch degli artisti. Stiamo studiando dei metodi alternativi per permettere al pubblico di finanziarci e di avere in cambio qualcosa di unico. Inoltre stiamo preparando con la redazione alcuni format che vorremmo portare avanti, ma non voglio spoilerare niente, anzi vi invito a passare in studio ogni giovedì pomeriggio per saperne di più.