SARRAM - Valerio Marras - Albero - Subsound Records - Animamundi - ascolti - album - recensione - Luca Garau - 2021 - Sa Scena - 17/19 maggio 2021

Albero – SARRAM

Luca GarauMusica, Recensioni

Non importa quale sia il livello di educazione musicale ricevuta, o la propensione allo studio di uno strumento, ma sia come singoli che come specie umana, il primo approccio al mondo musicale è quello ritmico e percussivo. I primi strumenti fabbricati dall’uomo sono stati tamburi, i bambini si affacciano alla musica battendo mani, piedi e ciò che capita a tiro. E anche per i più grandi, non sono le liriche o il bel canto a far muovere il culo e la testa, ma il groove di cassa e basso.

Eppure esiste la capacità di smuovere, magari non i culi, ma le viscere sì, avvalendosi esclusivamente di flussi sonori, che – al pari di quelli di coscienza – spesso riescono a trasmettere meglio messaggi più densi. Valerio Marras, in arte S A R R A M è uno che questa capacità ce l’ha, la coltiva, la esplora e la esaspera regalandoci ogni volta lunghi racconti sonori che connettono il landscaping con l’introspezione

Albero, suo quarto disco, ne è l’ennesima prova: “un viaggio sonoro attraverso diversi scenari fermandosi sopra ognuna delle otto fronde che compongono l’”, come lui stesso ha affermato. E nello scorrere inesorabile delle note, dei bordoni, pare proprio di sentire il respiro dell’albero, il vento che ne sferza la maestosità.

Rispetto ai precedenti lavori – in particolare Four Movements Of A Shade – Albero risulta meno monolitico e meno cristallizzato metricamente. Nella stesura dei brani c’è spazio per incursioni melodiche e accenni ritmici. Ne è un riuscito esempio The Sound of a Needle (a detta di chi scrive punto più alto dell’album) che con il piccolo arpeggio iniziale protratto, in mezzo a shimmer e riverberi, costruisce un climax di matrice post rock degno dei migliori Godspeed You! Black Emperor. Mentre l’imponente parete sonora, che ha reso celebri Earth e soci, tirata su in Diving Deep, arriva quasi a far sentire il bisogno di un esplosione di crash e rullo a non più di 45 bpm.  A rafforzare questa percezione ci pensano kalimba e glockenspiel, che, inseriti e amalgamati nell’impasto sonoro, trasmettono una singolare idea di tempo, come lancette relativistiche che rallentano in prossimità di una massa. L’album arriva in chiusura con un commiato dal titolo evocativo  – The Far Side of the Moon – quasi a voler sottolineare, con la riuscita parafrasi, che non è l’oscurità a a impressionare, ma la lontananza.

S A R R A M con Albero conferma di  essere a suo agio nello storytelling, fatto a modo suo, ovviamente, con i suoi linguaggi, diametralmente opposti a qualsiasi chansonnier, ma ugualmente evocativi e didascalici. Tutta la sua produzione implementa la stesura personale di un racconto di affrancazione dall’oscurità e – me lo si permetta – prosegue nella ricerca di un’alba dentro l’imbrunire.