I Black Lips sul palco dell' Here I Stay 2024 - foto di Emiliano Cocco

Here I Stay 2024, il report

RedazioneLive report

Museo Nivola di Orani – 5, 6 e 7 Luglio 2024

Venerdì 5 luglio – Alessio Frau

È difficile spiegare cosa significhi partecipare a un festival musicale come l’, andato in scena quest’anno per la quattordicesima volta, a chi non è avvezzo a frequentare questa tipologia di eventi. 

Il rumore fresco del vento dopo la prima serata, il suo brusio ancora impresso nei timpani e quel tanto che basta di stordimento, hanno accompagnato la scrittura delle prime righe del report. Voler tradurre immediatamente una giornata densa in parole a volte è semplicissimo, altre meno; questa volta, l’unico concetto che ronzava per la testa era quello di malattia.

Tralasciando il motivo per cui è venuto in mente questo accostamento, a prima vista parrebbe potersene fare un uso esclusivamente metaforico, come a dire che un malato di musica è colui il quale, come un dipendente, non riesce a fare a meno di ascoltarla, suonarla e, in generale, viverla. A pensarci bene, però, è un uso più appropriato di ciò che appare a prima vista.

Per il medico e filosofo della scienza francese Georges Canguilhem non è possibile distinguere nettamente tra normale e patologico. Si potrebbe definire quest’ultimo come quello stato di agitazione e trasformazione, psichica e biologica, che si verifica allorché vi è un conflitto tra l’organismo e l’ambiente: “L’organismo – afferma Canguilhem – genera una malattia per guarirsi”. In natura non esistono soggetti definibili normali, rispecchianti un ideale o una media statistica. L’unico modo di descrivere la regola è, del resto, quello di farlo attraverso l’eccezione: se non ci fosse la possibilità di trasgredirla, verrebbe meno la sua stessa essenza e non avrebbe senso imporre o imporsi di seguirne una. Dal punto di vista della natura, il processo appena descritto non è altro che crisi

È esattamente in questo modo che, ripensando al venerdì appena trascorso, appare l’esperienza vissuta.

Del resto, sembra fatto apposta, anche l’auto con cui sono salito a Orani ha preso sul serio questa definizione. Una bella spia arancione si è riaccesa dopo un anno e mezzo proprio nelle curve che collegano la 131 nuorese con Orani. Non che l’umore fosse dei migliori già prima, ma non ha aiutato. Come non ha aiutato il fatto di dover piazzare la tenda senza una birra, la quale, come da istruzioni, è indispensabile per il corretto assemblaggio. 

Sono queste piccole esperienze che consentono di apprezzare meglio l’essenza dell’Here I Stay. Nulla di complesso. Anzi, è la semplicità stessa che prende il sopravvento. È la brezza fresca che, al tramonto, accarezza la disposizione carsica di Orani e del Museo Nivola; è la luce che lentamente si tramuta in buio e nel cui contrasto, gli istanti, proprio perché sfuggenti, si tingono di una terrena e impura eternità. 

La degenerazione dello stato patologico appare privo di sofferenza, solo perché è indistinguibile dal processo di guarigione. Il flusso nel quale si è immersi si configura piuttosto come una soglia, al di qua e al di là della quale regna l’indistinzione che permette di apprezzare l’attualità e l’assolutezza dell’esperienza.

È forse il rito di acquistare, ogni anno, il bicchiere riutilizzabile e personalizzato con la collaborazione di Vignaioli, mentre, puntualissime, le band iniziano a esibirsi. È liberarsi dagli automatismi della normalità attraverso l’energia totalizzante della musica. O forse è che adesso c’è finalmente un po’ di birra. 

Si è sempre conformisti di un qualche conformismo, si potrebbe dire parafrasando Gramsci. Quello che domina a Orani, con una certa violenza creatrice, è il ritmo. Da quello che i hanno subito imposto, come primo gruppo della serata, alla frenesia del fare la fila al bar mentre si è consapevoli di perdersi un pezzettino di un live. Da quello lento imposto dalla presenza di un stand di vinili messo in piedi da Potente, noto negozio di vinili sito in piazza San Domenico a Cagliari, a quello, laterale, di chi, tra un concerto e l’altro, torna alle tende a farsi i cazzi propri. 

Yaprak Kirdok  dei Gentilesky sul palco dell'Here I Stay festival 2024 - foto di Emiliano Cocco
Yaprak Kirdok  (Gentilesky) – foto di Emiliano Cocco

Un incedere plurale, differenziato e, al contempo, unitario. Man mano, in maniera quasi inconsapevole, i live prendono il sopravvento. I ritmi convergono, tutta l’attenzione è al palco. Sono forse i Leatherette, formazione bolognese scanzonata e molto punk, ad attirare l’attenzione? O è forse il punto di caduta della crisi?

I Leatherette all'Here I Stay 2024 - foto di Emiliano Cocco
Leatherette – foto di Emiliano Cocco

Nel greco antico, la parola κρίσις (krìsis) significa sia scelta e decisione, che, nel lessico della medicina ippocratica, fase “critica” di una malattia. 

Nel caso dei festival, apparentemente liberi, c’è un punto in cui la forza tirannica della musica prende il sopravvento. È il suo momento catartico, si potrebbe dire. 

C’è stata una performance, venerdì, che ha incarnato questo momento. È stata quella dei , un duo italo-catalano con base a Barcellona, che ha letteralmente scatenato una furia elettro-punk sul pubblico. I ritmi techno, originali nel loro essere conformi alla struttura ripetitiva del genere, erano accompagnati dalla voce aggressiva della cantante, che ha stregato tutte e tutti portando l’attenzione sul qui e ora dello spettacolo e della vita stessa. 

Dame Area Here I Stay 2024 - foto di Emiliano Cocco
Dame Area – foto di Emiliano Cocco

Quello che ha vinto a Orani è il conformismo della musica, quell’allegria sfaccettata che amalgama la folla, che le conferisce un ritmo caotico e armonioso insieme. Il quale non poteva non scatenarsi con le note allegre e ribelli di Bad Kids o O Katrina! dei

Sabato 6 e domenica 7 luglio – Claudio Loi

Puntuale come sempre il festival riprende il sabato pomeriggio nel suggestivo spazio del Museo Nivola. A quest’ora il sole è ancora in piena attività e lo scenario sembra più suggestivo del solito. Tutte le attività collaterali prendono vita e prima che i concerti inizino c’è la possibilità di incontrare vecchi e nuovi amici e godersi la tranquilla indolenza che arriva da un borgo che ha ancora voglia di credere in sé stesso. Se Nivola fosse qui sarebbe molto fiero di questa festa e di come gli spazi a lui dedicati siano in perfetta consonanza con la musica e le idee di questa gente. È proprio in questi momenti che si coglie al meglio lo spirito di Here I Stay: ottima musica nel cuore della Sardegna in uno spazio magico e un’atmosfera di beatitudine e pace interiore. Tutto questo grazie a un’organizzazione impeccabile che arriva da anni di esperienze vissute sempre con la massima consapevolezza di fare qualcosa di unico e prezioso.

La serata inizia con Angus Bit, giovane gloria locale che per l’occasione propone il suo campionario di suoni e rumori del mondo, un cocktail che contiene al suo interno la Sardegna ancestrale e il multiverso della nuova distopia elettronica. Potrebbe essere la colonna sonora di un nuovo romanzo di Philip K. Dick anche se lui non c’è più ma per un momento potrebbe anche tornare.

Si continua più o meno sulla stessa lunghezza d’onda con i suoni interplanetari di una sorta di dea mezzo svizzera e mezzo canadese alle prese con macchine di varia natura, giradischi, la sua voce sempre un po’ fuori fuoco che rende il suo progetto abbastanza originale. Ritmi proto-industrial, EBM a volontà e tanta voglia di divertirsi e di condividere questa gioia. Sembra di stare in qualche club di Berlino e invece siamo all’estrema periferia dell’impero.

Camilla Sparksss all'Here I Stay festival 2024 - foto di Emiliano Cocco
Camilla Sparksss – foto di Emiliano Cocco

I Crocodiles spezzano quest’incantesimo e ci riportano su binari di puro rock elettrico di matrice americana. Una band che ha tanti anni di attività alle spalle e che conosce molto bene il mestiere del rocker. Hanno un tiro pazzesco e se si chiudono gli occhi anche in questo caso ci si ritrova per magia nelle umide stanzette del CBGB dove questi suoni hanno sempre trovato cittadinanza. Set elettrico, ritmi serrati, una presenza scenica quasi perfetta e il pubblico che sembra gradire oltre misura. La chiusura del concerto è una stralunata e violenta cover di Ça plane pour moi di Plastic Bertrand ed è quanto di meglio potessero proporre.

I Crocodiles sul palco dell'Here I Stay 2024 - foto di Emiliano Cocco
Crocodiles – foto di Emiliano Cocco

La chiusura della serata arriva con il set di uno dei gruppi più cool della nuova scena post-punk inglese: i Porridge Radio con una proposta molto rilassata e suadente che richiama in alcuni momenti i vecchi Low ma ancor di più le nuove derive del rock inglese come King Hannah o Dry Cleaning. Loro sono giovani, carini e hanno il portamento tipico di chi è convinto delle proprie capacità. Tiene la scena Dana Margolin che in qualche modo è il centro di questo progetto e la sua voce si staglia impetuosa nella notte di Orani che alla fine del set risponde con un incredibile omaggio di fuochi artificiali. Caso o necessità? Non lo sapremo mai e forse è meglio così.

Porridge Radio - Here I Stay 2024 - foto di Emiliano Cocco
Porridge Radio – foto di Emiliano Cocco

Una crisi continua, che sembra non poter mai individuare il suo punto di caduta. Le serate, tra l’altro, proseguono fino a tarda notte, grazie ai dj set che si svolgono su una pittoresca terrazza. 

La domenica il festival si chiude nel migliore dei modi con una dolce scampagnata nei boschi del Monte Gonare. Lo spazio è meraviglioso e si presta a diverse attività: la sacra scala che porta al santuario in cima al monte è da fare assolutamente ma anche il bosco che ospita questa festa non è da meno. Una situazione bucolica che ricorda certe tele impressioniste francesi e che porta a rilassarsi e sognare. I suoni digitali ben assemblati o le note analogiche ben distillate da (ru), The Brydes, Trasimeno, King Sheperd and the Lost Sheep, Yallah, Bruce Fuckstein e Natura Morta sono in perfetta sintonia con l’ambiente naturale e umano ed è bello perdersi in questa narcosi assistita in attesa degli altri inserti sonori della giornata e prima del lento ritorno a casa.  

Fabio Tallo all'Here I Stay 2024 - foto di Emiliano Cocco
Fabio Tallo – foto di Emiliano Cocco

Si sarebbe tentati, a questo punto, di definire la musica come medicina e non come malattia. E in effetti la sensazione di relax provata la domenica sera sembra confermare tale idea. La medicina, però, si prende cura del corpo del malato per ricondurlo alla normalità. I concerti, al contrario, sono il risultato di un conflitto tra l’ambiente e il corpo che punta a una trasformazione, a un salto in avanti, a un surplus di libertà: è un processo creativo. Dalla malattia della musica non si guarisce, così come, del resto, dalla stessa vita. 

Immagine di copertina: The Black Lips – foto di