Fino a qualche tempo fa, a proposito della decisione di aprire un nuovo negozio di dischi mentre ancora si piangeva per la chiusura di tutti gli altri, si sarebbe parlato di scelta coraggiosa con cognizione di causa. Negli ultimi anni le cose sono un po’ cambiate e i negozi di dischi hanno ripreso a respirare, sostenuti dagli aficionados al formato fisico che oggi costituiscono lo zoccolo duro della clientela.
Abbiamo incontrato uno di questi coraggiosi, Andrea Pilleri, che due anni fa ha aperto Potente Record, un piccolo store con un catalogo ricercato, in pieno centro storico a Cagliari, raccogliendo intorno a esso uno stuolo di ascoltatori – poser esclusi, non ce ne vogliano – attenti, consapevoli e devoti alla causa.
Andrea non è un improvvisato, ma vanta una lunga carriera da musicista (Rippers, Love Boat, Thee Oops, Sushicorner, Xù) e la fondazione di un festival bello e importante come Here I Stay. Da buon conoscitore della scena e delle sue dinamiche, ci è sembrato quindi l’interlocutore perfetto per capire meglio come ascoltatori ed esecutori, fruiscono della musica e si rapportano a essa.
Ciao Andrea. A due anni dall’apertura di Potente Record Store, immagino abbia già qualche elemento per fare qualche bilancio. Com’è andata finora? Funziona? Ci si mangia?
Ciao Simone, grazie per l’interesse nei nostri confronti. Ti direi che, superato il boom iniziale, che conta fino a un certo punto, vorrei aspettare almeno un altro anno prima di fare bilanci. Per il momento l’obiettivo che ci eravamo prefissati, ovvero quello della sopravvivenza, lo abbiamo raggiunto. Fino a questo momento il negozio è andato molto bene, ma, anche se i flussi si stanno stabilizzando, non possiamo comunque avere un quadro troppo preciso: i flussi non sono costanti e nelle due estati scorse abbiamo lavorato bene anche con i turisti, dato comunque difficilmente analizzabile. Vendendo dischi non si diventa sicuramente ricchi, ma per il momento siamo contenti di come sta andando.
Non si fa altro che parlare del ritorno del vinile, nonostante i dati rivelino che negli ultimi anni gli utenti dei servizi di streaming sono cresciuti di oltre il 50%. Evidentemente piace ripeterselo, ma la verità è che parliamo di una ristretta nicchia di persone, ancora più piccola se paragonata agli attuali numeri degli streamers. Ne convieni? Come si pongono al riguardo i tuoi clienti?
Di fatto il vinile non è mai morto. Sicuramente negli ultimi dieci anni, grazie alla sua caparbietà, ma soprattutto alla caparbietà di chi non si è voluto arrendere totalmente al monopolio della musica liquida, il vinile ha di fatto costretto le major a riaprire i canali con le stamperie che hanno ripreso a investire e produrre. Quello che mi sembra di capire dalla nostra clientela è che le persone si avvicinano al mondo del vinile per svariati motivi.
Alcuni vogliono il vinile perché contiene informazioni sull’artista non reperibili altrove. Per altri è una forma di finanziamento molto più concreta e reale rispetto allo streaming che, come si sa, non retribuisce adeguatamente gli artisti e molti clienti sono sensibili a questa tematica. Poi ci sono quelli più soggetti alle mode e si avvicinano magari per motivi più futili, perché in sé l’oggetto è bello anche solo come complemento d’arredo. Altri ancora ci sono sempre stati, mossi dalla passione e dai motivi più disparati: dal collezionismo più classico alla semplice abitudine ad ascoltare i dischi, sia in formato fisico che digitale, perché alla fine lo streaming ha fatto anche cose buone. Ad esempio il pre-ascolto: se devi spendere dei soldi per comprare un disco a una cifra che nel tuo budget potrebbe coprire spese più importanti, puoi ascoltarlo prima e non rischiare di fare un acquisto sbagliato.
Una delle motivazioni del “fenomeno” vinile, forse la più veritiera, è legata all’attenzione che l’ascoltatore rivolge alla musica. Il disco, solido e stanziale, in confronto allo streaming liquido e sfuggevole, permette un ascolto più attento, consapevole e dedicato. Forse chi compra ancora dischi fisici, in fondo, lo fa più che altro per quella ragione. Cosa ne pensi? Hai avuto riscontri in tal senso dalla tua clientela?
Certamente un vinile ti obbliga a fermarti e, anche se arriva qualcosa a distrarti, richiama la tua attenzione perché devi comunque girare lato. Non penso che chi compra vinili sia più – o meno – legato alla musica di chi invece non lo fa, non lo fa più o di chi compra cd. Credo che anche in questo caso le variabili siano tante e sia difficile generalizzare. Più che altro è possibile che chi ascolta dischi senta di avere un legame privilegiato con la musica, diverso, più veritiero, ma non credo sia sempre vero o per lo meno non è detto che le due cose siano una conseguenza dell’altra.
Una delle tante narrazioni che si fanno su questo fenomeno ricama intorno alla presunta qualità della riproduzione da vinile. Escludendo dal confronto lo streaming a bassa risoluzione (Spotify e Youtube, per dire), esistono effettivamente delle differenze tra l’ascolto da cd e da vinile, apprezzabili, ma, credo, più da nerd audiofili. Pensi siano davvero queste differenze a influire sull’acquisto dei vinili?
Non penso e non ho mai pensato che il livello audio del vinile sia superiore a quello di altri supporti, anche perchè non è così. Il vinile ha un certo tipo di compressione audio e va ascoltato con i supporti adeguati per rendere al meglio. Se compri un vinile e lo ascolti con una fonovaligetta comprata a 50 euro da Trony ovviamente il risultato che otterrai sarà scarso e la qualità di un wav ascoltato dall’Iphone sarà nettamente superiore. Detto questo non credo ci siano regole fisse: il vinile ha la sua compressione caratteristica e quel fruscio che rende il suono più caldo, secondo me da l’idea di essere forse più umano. Ma soprattutto la magia che da quei solchi esca della musica lo rende un oggetto con un fascino insuperabile da altri prodotti fonografici. Credo che la maggior parte delle persone ignori la tecnologia che c’è dietro, in parte perché diamo molte cose per scontate, in parte perché, a meno che tu non sia un tecnico, non credo sia semplice capirne il funzionamento. Ad ogni modo, a livello audio, il compact disc è un supporto superiore al vinile, ma anche questo va ascoltato con un impianto adeguato. E bisogna tener presente che anche l’orecchio umano può essere più o meno sensibile a certe frequenze. Ovviamente esistono degli standard di qualità, ma anche questo può influire.
Non credi che influisca di più il fatto che sia cool passeggiare con la sacca marchiata del proprio negozio di dischi preferito facendo sfoggio del nuovo pezzo della propria collezione?
Onestamente non so cosa sia cool o no. Sono abbastanza sicuro che in una città come Cagliari, ma un po’ ovunque, se e quando si creano delle mode, durano poco e vengono sempre soppiantate velocemente da altre. Nel caso dei dischi, le persone che vogliono aggiungere un pezzo alla propria collezione, lo fanno a prescindere, e sfoggiarlo o no è una scelta personale. C’è chi esce di testa per mostrarsi e mostrare qualcosa e c’è chi invece se ne frega totalmente. Alla fine rimane il disco e quello che ti trasmette, che può durare molto più di una moda.
Qual è l’attenzione che i tuoi clienti rivolgono alla musica prodotta in Sardegna?
Ho notato una certa attenzione da parte dei turisti per la musica etnica. A volte è anche capitato che qualche turista abbia chiesto dischi prodotti in Sardegna che non fossero legati alla per forza alla tradizione. In generale, fatte salve alcune eccezioni, i clienti locali non sono molto interessati alla musica prodotta in Sardegna.
E quella dei musicisti nei confronti del tuo negozio? È prassi, per i local, portare i propri vinili da Potente oppure preferiscono distribuirli durante i concerti al proprio banchetto del merch?
I musicisti locali spesso portano le loro produzioni in negozio e noi siamo ben felici di offrire loro una vetrina. C’è da dire che molti stampano in cd (che noi trattiamo poco) e tendenzialmente i dischi dei gruppi underground si vendono molto più ai concerti che nei negozi.
Ci sono dei dischi che nel tuo negozio hanno fatto registrare dei buoni numeri di vendite quest’anno? (Sia dischi prodotti in Sardegna che dischi internazionali)?
A proposito di dischi prodotti in Sardegna o di musicisti sardi, citerei Rade di Paolo Angeli, come anche il precedente J’Ara aveva fatto registrare delle buone vendite. La sua dimensione internazionale e la frequenza delle sue esibizioni dal vivo influiscono sulla sua visibilità e le vendite vanno di conseguenza. Più in generale ci sono dischi classici che si vendono sempre come Dark side of the moon dei Pink Floyd o The Velvet Underground & Nico, ma anche Smash degli Offspring e And out come the wolves dei Rancid sono dei grandi classici che vanno sempre. Invece, per citare dei dischi più recenti, Fontaines DC, Viagra Boys e Idles hanno avuto un buon riscontro.
Vivi, lavori e suoni a Cagliari da anni ormai. Un’idea su come questa città si rapporta con la musica e i musicisti te la sarai fatta. Dando per scontato che questo rapporto abbia più di un problema, quale pensi che sia quello più grosso?
Il problema è sempre e solo la mancanza di spazi. La musica dal vivo in particolare, ma anche tutto l’indotto, è sempre relegato a iniziative private che purtroppo non sono realmente interessate alla crescita di un movimento. Finchè non ci sarà un progetto che parta dagli operatori e dal pubblico, che mette al centro le associazioni culturali più virtuose, ci sarà sempre qualcuno davanti a noi. Senza considerare il fatto che comunque, anche a livello nazionale, nel settore siamo il fanalino di coda: basti pensare che non è mai stato fatto nulla per far liberare i musicisti dallo status di lavoratori dello spettacolo a intermittenza. In Italia ci sono band e musicisti che suonano in giro per il mondo per 10-15 anni senza nessun tipo di inquadramento e sostegno da parte dello stato. Musicisti che naturalmente non smettono mai di sentirsi dire di cercare un lavoro vero. In altre nazioni, come la Francia, se sei un musicista a qualsiasi livello, rientri in un programma per lavoratori dello spettacolo a intermittenza e lo stato sopperisce alla mancanza di entrate che puoi avere proprio per la discontinuità delle tue prestazioni. Come crediamo di poter competere con musicisti che in altri stati non sono considerati invisibili come da noi? In Sardegna invece da dove dovremmo partire? Sono certo che se provassimo a parlare con la politica di questo argomento, ci riderebbero in faccia. Perché ci sono sempre cose più importanti da fare, compreso anche non fare assolutamente nulla.