Frank Stara, batterista, nasce a Cagliari il 12 novembre del 1991. Inizia a suonare circa a 16 anni. La sua formazione è essenzialmente autodidatta pur avendo frequentato alcune scuole come la Peter’s Day e la Scuola Civica di Cagliari.
L’appuntamento con Frank è al Red Rocks Cafè, a Cagliari, un bar intitolato e dedicato – nel nome e nell’anima – alla musica e alle rocce rosse di Arbatax,che negli anni passati hanno visto suonare ai loro piedi i migliori bluesmen del circuito mondiale. Il bar la sera diventa un club e il suo piccolo palco diventa una delle case del blues del mondo. Il concerto di stasera inizia tra circa due ore, noi ci portiamo avanti conversando di musica e blues sotto gli occhi di Jimi Hendrix, la cui foto domina l’angolo degli strumenti.
Ciao Frank, iniziamo dai tuoi progetti musicali. Ci racconti qualcosa?
Attualmente ho la fortuna di suonare in diverse band che producono musica originale: Bad Blues Quartet, Dancefloor Stompers, La Città di Notte e Super Wizard. Con loro negli ultimi anni abbiamo intensificato la produzione discografica e suonato spessissimo oltre i confini dell’isola. Faccio inoltre parte della house band Electric Open Mic e di alcune altre band come The Walrus e Chicken Grease Organ Trio.
I progetti sono tanti e ci piacerebbe raccontarli tutti, ma un intervista non basterebbe. Ci presenti il progetto più attinente alla rubrica TalkinBlues, i Bad Blues Quartet?
Il gruppo si è formato quasi 10 anni fa, nell’estate del 2014 reinterpretando canzoni di altri, quindi come cover band. Dopo questo periodo di affiatamento è nata l’esigenza di raccontarci attraverso brani originali e soprattutto di farci conoscere nell’ambiente blues isolano e non solo. Abbiamo registrato tre dischi, girato l’Italia tra festival, contest e rassegne, condiviso il palco con musicisti come Mud Morganfield, Mike Zito, Robert Randolph.
Al momento siamo nel pieno della realizzazione del nostro quarto disco che sarà prodotto proprio dal chitarrista americano Mike Zito. Abbiamo registrato al Monolith Studio di Brescia, diventato ormai per noi una seconda casa.
Torniamo indietro di qualche tempo. Ci racconti come o quando è avvenuto il tuo incontro con Blues?
Ho iniziato ad ascoltarlo nei primi anni delle scuole superiori. Ci sono arrivato dai dischi degli anni ‘60 e ‘70 di mio padre e frequentando i concerti della scena live cittadina con i nostri “local heroes”, su tutti Vittorio Pitzalis e Tony Pirina. Un’altra buona dose di influenza è arrivata dalle letture dei primi lavori di Massimo Carlotto. Da ogni libro ho sempre ricavato un’ottima playlist. Nel tempo il blues e i miei ascolti sono diventati una sorta di ossessione e rappresentano ancora un pilastro solido su cui poggia tutta la mia musica.
Molti musicisti blues delle origini si sono sempre divisi tra lavoro e musica e questa non è quasi mai stata per sempre la loro professione principale. Per te, al netto di uno scarto di quasi un secolo dalla nascita del genere, la musica è un lavoro?
È sicuramente la mia occupazione principale su almeno due fronti: la parte concertistica e il lavoro in studio, in particolar modo con i Dancefloor Stompers, molto attivi nel campo della library music (in stretta e longeva collaborazione con il Solid Twin Studio). Da un anno, inoltre, collaboro con un’associazione dedicata ai ragazzi affetti da autismo sempre con attività legate alla musica.
Cosa spinge il mercato della musica che suoni?
La benzina di tutte le band in cui suono sono i concerti dal vivo, mentre a livello discografico si deve sempre sgomitare. Molto dipende dal pubblico e dalle sue esigenze: il blues in Italia ha un pubblico che spesso vuole comprare la copia fisica del disco, gli altri generi meno. Diverso è il discorso sulla library music che ha un destino differente.
Dicci un po’ della library music? Cos’è, come funziona? Quali sono gli obiettivi del progetto?
La library music è musica prodotta e registrata per essere montata sulle immagini. Viene distribuita e venduta, assieme alle relative licenze, in pacchetti divisi per mood o generi, in maniera da facilitare l’associazione alle immagini da sonorizzare. Diversi brani degli Stompers sono stati utilizzati da programmi radio e tv e da una serie di Netflix Messico, Belascoaran.
Come ti collochi artisticamente e musicalmente? Quale ruolo ti definisce meglio?
Mi sento un batterista “da band”, questa è di sicuro la dimensione che preferisco.
Oltre tutto il blues che ascolti e suoni, quali altre band ascolti in questo periodo?
The Wood Brothers, un trio roots americana, The Arcs e King Gizzard and the Lizard Wizard. Parlando di “grandi vecchi”, ho ascoltato molto gli ultimi dischi (sfortunatamente postumi) di Levon Helm e Dr. John.
Tra i diversi batteristi di riferimento nel panorama rock and blues, quali sono i tuoi preferiti?
Da qualche anno a questa parte il mio punto di riferimento è Steve Jordan (Blues Brothers Band, John Mayer, X- Pensive Winos, Eric Clapton e dal 2021 The Rolling Stones). Oltre a lui sicuramente ci sono Questlove, Levon Helm, Bonzo e Ringo Starr.
La scena live è stata e rimane una parte importante della tua formazione. Quali sono i concerti a cui hai assistito e che consigli ai nostri lettori nel caso ci fosse l’occasione?
Ho avuto la fortuna di vedere nomi storici come BB King, Herbie Hancock e Roger Waters. Tra i contemporanei che consiglio ci sono Hiatus Kayote, Ben Harper, C’mon Tigre, Butcher Brown. Lo scorso anno ho visto i Rolling Stones allo stadio Metropolitano di Madrid (senza Charlie Watts alla batteria, ma con Stanley Jordan) ed è stata un concerto incredibile, emozionante e formativo.
Torniamo a parlare più strettamente di blues. Come giudichi il suo stato di salute in questo momento?
In Sardegna e in Italia lo vedo e lo sento in buona salute. I nomi nostrani come King Howl, Francesco Piu, Dirty Hands, Vittorio Pitzalis e quelli nazionali come Superdownhome, Cek Franceschetti e I Shot A Man sono sicuramente ottimi progetti che sostengono, ognuno a modo suo, il blues a tutti i livelli.
La scena live, lo ribadisci spesso, è fondamentale nella tua musica, quale è la tua opinione sul pubblico?
A Cagliari e in generale in Sardegna il pubblico partecipa e reagisce bene al blues. Oltremare i nostri concerti hanno restituito sempre buoni feedback e ho notato che i giovani si stanno affacciando al genere nonostante non sia proprio all’ultima moda.
Sono convinto che la musica popolare abbia sempre avuto una fondamentale funzione sociale e un ruolo aggregante, quanto una forza terapeutica individuale e comunitaria attraverso l’ascolto, la produzione e la creatività. Quale è il tuo punto di vista su questo tema?
A livello artistico, quello che mi preme maggiormente è il lavoro sul materiale originale, di conseguenza la creatività e l’espressione personale sono a mio parere sempre fondamentali. Ritengo che il lavoro creativo debba essere portato avanti e promosso con ogni sforzo possibile da ogni componente delle band. Non saprei avventurarmi in una valutazione a livello sociale ma, a rischio di dire una banalità, credo che la musica abbia la grande capacità di generare momenti di aggregazione, di scambio e di confronto tra chi la suona e chi l’ascolta.
Prima di salutarci, consigli un musicista o un disco made in Sardegna ai nostri lettori?
Gli ultimi lavori dei Freak Motel, band sperimentale interessantissima con un suono e una scrittura molto moderni.
Grazie Frank e grazie ai lettori di Sa Scena.
Buon ascolto, buona lettura and keep the blues alive!