Dimitri Pau – Credits Marco Floris

Talkin’ Blues – Intervista a Dimitri Pau

Simone MurruInterviste

nasce a Cagliari il 29 Novembre 1972. Inizia a suonare l’armonica nel 1991 e pochi mesi dopo sale su un palco con la Manhattan band. È il 1994 quando entra a far parte della Easy blues Band di poi si unisce a Le Blinde (capitanate da Sergio Piras dei Tamurita). Il 1999 segna il suo trasferimento in provincia di Treviso dove suona con gli “Snap’ing combo”. Rientra definitivamente in Sardegna cinque anni dopo, riprende il palco con i Three Blues per poi riunirsi alla Easy Blues Band che qualche settimana fa ha festeggiato i trent’anni di vita del progetto.
Aspetto Dimitri fuori dalla sala prove. Le note pervadono e vibrano oltre la sala d’attesa.
Ci conosciamo da tanti anni, abbiamo a lungo condiviso lo stesso mondo musicale, quello del blues a Cagliari. Quando esce dalla sala ha ancora in mano l’armonica e il suo microfono, iniziamo da questi due elementi la nostra conversazione.

Ciao Dimitri, parliamo del tuo strumento. Considerando il panorama di armonicisti storici e contemporanei, quali sono quelli a cui ti ispiri di più e come ti confronti con loro?

Il primo armonicista a cui mi sono letteralmente “affidato” è Sonny Terry, maestro del country blues, poi tra gli armonicisti acustici cito Sonny boy Williamson 1 e 2. Nel blues elettrico Charlie Musselwhite, Little Walter, Sugar Blue e Mark Ford. La lista sarebbe ancora lunghissima e  rimane sempre aperta perché dopo tanti anni mi considero fondamentalmente uno studente con un metodo semplice: ascolto un brano o un fraseggio che mi cattura e cerco di impararlo senza badare al genere o allo stile. Cerco sempre di imparare da chiunque mi possa insegnare qualcosa, a qualunque livello.

Il blues è un genere che ha più di 100 anni, si è evoluto in moltissimi sotto generi mescolandosi con tutte le culture incontrate sulle sue strade. È stato capace di aggiornarsi e reinventarsi attraverso i suoi interpreti. Per te cosa rappresenta e cosa esprime?

È una spugna, un genere sempre capace di influenzare e di farsi influenzare. Questa è la sua grandezza, il motivo per cui non morirà mai. Io nel mio piccolo cerco di fare lo stesso, seguendo il mio gusto e assecondando la mia naturale disposizione. Rispettando e apprezzando sia i puristi dello strumento sia gli innovatori del genere. 

Mauro Amara, Salvatore Amara e Dimitri Pau – Credits Marco Sotgiu
Mauro Amara, Salvatore Amara e Dimitri Pau – Credits Marco Sotgiu

Quali sono le produzioni e i dischi in cui hai suonato ?

Ho partecipato come gregario a diverse produzioni anche fuori dal blues, come “Rito antico” del 1997, Le Blinde. La mia prima incisione blues risale all’anno precedente per il disco , nel quale i diversi vincitori del concorso dell’omonimo festival sono stati registrati come premio. Nel 1997 ho suonato in “Wanted dead or alive, Blues ‘n roll, an unplugged journey“ e nel 2022 in “Payin’ the cost to the blues – Step 1 on Robert Johnson’s trail” sempre con .

Cosa significa e che valore ha oggi incidere un disco? Cosa aggiunge oggi alla tua musica?

Un tempo incidere un disco era quasi un punto d’arrivo. Oggi questo è alla portata di tutti o quasi. La tecnologia ha permesso una notevole riduzione di tempi e costi di registrazione. Molte sono le autoproduzioni, come tutte le ultime in cui ho suonato, per le quali tutti i musicisti della band hanno registrato le parti musicali a casa propria. È diminuita l’intesa tra tutti i componenti della band, quella che nasce e cresce nello studio, ma per ognuno di noi c’è stato molto più tempo per elaborare e cercare ispirazione. È sempre emozionante collaborare e creare con altri musicisti in qualunque modo e pensare che quella incisione resterà indelebile da qualche parte e forse regalerà un’emozione a qualcuno.

Qualche tempo fa ti sei trasferito in Inghilterra e poi hai continuato a girare per lavoro fuori dall’isola. Ci racconti i motivi di questa esperienza e cosa ti porti dietro?

Sono partito principalmente per lavoro, ma ho avuto modo di confrontarmi con il circuito musicale di Brighton. Ho suonato con diverse band locali e non ho mai avuto l’impressione che lì il blues fosse considerato un genere di nicchia, come era nella mia città e come forse lo è ancora. Il pubblico era sempre vario e competente: anche i non appassionati conoscevano molti brani del repertorio classico come Muddy Waters o la Blues Brothers Band.

Ho avuto occasione di conoscere e partecipare a uno stage di Johnny Mars (USA) che al periodo faceva un intenso uso di effetti e pedali, un modo ancora innovativo per quegli anni. Dopo aver lasciato l’Inghilterra mi sono trasferito in Veneto per i successivi sei anni. Ho conosciuto fior di musicisti e armonicisti che non hanno nulla da invidiare ai colleghi inglesi: Marco Pandolfi, Gianni Massaruto o Riccardo Grosso. Ho avuto la fortuna di partecipare a uno stage del grande Sugar Blue e ascoltare molta musica live di livello internazionale.

Dimitri Pau – Credits Marco Floris
Dimitri Pau – Credits Marco Floris

Facciamo un salto indietro nel tempo sino alle origini. Come e quando hai iniziato a suonare?

Ho sempre avuto un debole per l’armonica, anche quando ancora non conoscevo il blues o le reali potenzialità dello strumento. La prima l’ho ricevuta in regalo a 17 anni. Era in realtà un giocattolino con su disegnati panda e palloni colorati dalla quale sono comunque riuscito a tirar fuori delle melodie. Poi all’età di 19 anni mi hanno prestato una vera armonica e subito dopo ho iniziato il “Corso di armonica blues” di Paolo Ganz. Da quel momento suonare e far vibrare le ance è diventata una passione e un bisogno personale.

Cosa suggerisci a chi vuole iniziare oggi ad approcciarsi all’armonica?

Chi inizia oggi ha due marce in più rispetto a quando ho iniziato io. Grazie al web ha la possibilità di accedere a corsi da tutto il mondo o semplicemente confrontarsi con altri artisti. Questo aiuta a bruciare molte tappe e velocizzare il percorso. Il mio consiglio è comunque quello di affidarsi sempre a un insegnante e non tralasciare la teoria musicale di base. Consiglio di allenare costantemente l’orecchio perché questo potrà dare forma al proprio stile musicale. Tra i vari musicisti ascoltate con curiosità DeFord Bailey e Jason Ricci, senza escludere i maestri degli inizi del genere.

La scena musicale sarda è ricca e articolata, sono tanti i festival e le iniziative che portano sui palchi musicisti e progetti di diversa matrice e stile. Cosa manca e cosa suggerisci agli organizzatori?

Sarebbe utile che ogni manifestazione o festival prevedesse degli stage incentrati sia sul genere, sia su specifici strumenti. Gli organizzatori dovrebbero investire di più sui musicisti locali. A mio avviso trovo sia fondamentale valorizzare la scena locale nei loro programmi.

In questo mondo di appassionati e professionisti della musica in Sardegna noto che i ruoli si sono mischiati: molti musicisti sono anche organizzatori, direttori artistici, tecnici del suono o altro ancora. Forse non è più sufficiente svolgere un solo ruolo per gestire l’economia del progetto. In generale mi sembra che il livello musicale sia aumentato per numero di eventi e capacità professionali, ma anche che siano effettivamente diminuiti i musicisti. 

Quali motivi individui come causa di questo fenomeno?

Probabilmente i cachet si sono ridotti a tal punto che chi vive di musica non riesce a guadagnare adeguatamente con le serate e i dischi. Negli ultimi tempi molti non ho visto nuovi nomi nella scena blues locale o regionale, soprattutto giovani. Oggi con i nuovi generi al musicista non sono più richiesti tanti sacrifici per creare la propria musica: questo il blues lo richiede, altri generi meno. È possibile produrre brani digitalmente senza che gli autori sappiano effettivamente suonare, ma semplicemente combinando frasi, effetti e ritmi preimpostati. In conclusione, data questa situazione, rimango piacevolmente stupito quando sento un giovane suonare blues, ha il sapore di una storia che continua.

Salutiamo i lettori di Sa Scena sulle note del nostro ospite, buona lettura e buon ascolto. Alla prossima, Stay Blues!