Il bluesman carboniense si racconta ai microfoni di Cagliari Blues Radio Station per la rubrica Talkin’ Blues
Intervista di Simone Murru
Mezzogiorno, arrivo puntuale all’appuntamento. Donato Cherchi mi aspetta al bar, seduto al tavolo. Sono nel Sulcis, a Carbonia. Intorno a noi un mix di storie, quasi mai vincenti, tra migrazioni e ritorni, disoccupazioni, lavori in nero, lavori sottoterra, turni in fabbrica, scioperi e speranze. La resistenza alla malasorte passa anche attraverso la musica, ascoltata, scritta e interpretata, con lo scopo di esorcizzare tutto quello che il blues regala a chi nasce e vive in questa terra.
Quale è la tua storia musicale e quando hai scoperto il blues?
La scoperta del blues coincide con l’inizio della mia storia musicale. Mio padre ha sempre suonato. Ho sempre avuto molti dischi in casa che da presto ho iniziato a spulciare e ascoltare. Era inevitabile che in adolescenza iniziassi a suonare anche io. Da allora non mi sono mai fermato se non quando ci siamo fermati tutti per via del covid19. Quel poco che si è riusciti a suonare mi ha fatto capire che è arrivato il tempo di vivere le cose diversamente e che ho bisogno di riprendere fiato. Non vedo l’ora di calcare un palco.
C’è qualcuno in particolare a cui ti sei ispirato quando hai iniziato a suonare ?
Quando ho iniziato a cantare mi sono ispirato a diversi musicisti. Poi ho scoperto Howlin Wolf e Screamin Jay Hawkins, cantanti unici e capaci di tirare fuori tutta la voce senza compromessi. Da lì è cambiato tutto.
Su quale progetto ti stai concentrando maggiormente?
In questo momento sicuramente sto investendo tutte le energie sul mio progetto solista. Ho un disco da finire e non vedo l’ora di registrarlo in studio.
Quale canzone del tuo repertorio consideri più rappresentativa e perchè?
“Too Easy”. Parla di quante volte consideriamo la vita noiosa, perché respirare è semplice, ma che poi ci incasiniamo troppo facilmente. Penso che sia la fotografia della mia vita negli ultimi anni.
Ci parli del processo creativo che sta alla base della tua musica o di una canzone? Come prendono forma le canzoni?
Solitamente parto da un’immagine, una frase, una lettura che mi fa sentire qualcosa o mi suggerisce un nuovo modo di vedere le cose. Penso a cosa vorrei esprimere, a quali sentimenti vorrei trasmettere e quali episodi vorrei esorcizzare. Poi viene la chitarra, la voce e tutto il resto.
C’è una canzone o un brano che avresti voluto scrivere?
“Clay Pigeons” di Blaze Foley, una canzone incredibilmente semplice e onesta. Mi ricorda ogni treno che ho preso, sia quando l’ascolto che quando la suono.
Esiste un legame tra la storia del blues, dei suoi protagonisti e la tua storia?
Quando il blues canta la storia di chi non riesce a tenersi stretto quello che ha costruito, si.
Qual è il gruppo o il tuo musicista di riferimento?
Sono tanti. In questo periodo sono più affascinato dai musicisti acustici e dai cantastorie.
Delta Blues, Hill Blues, Chicago Blues, quale genere vesti meglio?
L’Hill Blues.
C’è un episodio che ha lasciato il segno a livello emotivo o professionale?
Sicuramente la vittoria dell’Italian Blues Challenge nel 2017 con i Don Leone.
Cosa stai ascoltando in questo periodo?
Prevalentemente musica folk. Da poco però ho iniziato a mettere su i dischi di Junior Kimbrough e di T. Model Ford.
Il blues riesce ad interpretare i tuoi tempi e quelli del posto in cui vivi?
Rappresenta il posto in cui sono nato. Vengo da una città che sta attraversando uno dei periodi di povertà, disagio e criminalità più neri della sua storia. Se scrivessi le storie di vita dura che raccontano le persone di questo posto da quando sono bambino, sapessi che disco. Qualcuno suona musica blues e non capisce le dinamiche della povertà, della miseria e di quanto possa cadere in basso un uomo quando non ha alternative. Non era di questo che parlava il blues? Dei padroni che ci lasciano con il culo per terra? Cerco sempre di rappresentare al meglio questi stati d’animo e le condizioni degli esseri umani che non riescono a farcela. Io sono fortunato perché ho avuto persone che hanno creduto in me, anche quando io stesso non mi sarei dato un euro. Persone che mi hanno spinto a mettere in luce la mia parte migliore. Ma conosco altre storie di anime buone, ancora perse a vagare nelle strade buie perché non hanno mai visto altro che le loro stesse sofferenze. Ecco, vorrei rappresentare questo.
Quale è il tuo punto di vista sulla scena sarda in blues?
Semplice. Se prendi in considerazione l’intera scena italiana di musica blues, la metà viene dalla Sardegna.
Secondo te perché?
La mia parte irrazionale direbbe perché ci sono delle similitudini, anche se in maniera molto ridotta, tra la vita rurale del Mississippi e quella disillusa della Sardegna.
C’è un disco o un musicista che ha lasciato il segno nella tua musica?
“Mule Variation” di Tom Waits.
Hai dei consigli musicali per i nostri lettori?
Solo uno: divorate qualsiasi cosa vi piaccia.
Hai dei consigli di libri, film o riviste di blues?
Un film: “The Devil All The Time” di Antonio Campos. E un libro che sto leggendo: “Shotgun Lovesongs” di Nickolas Butler.
Hai dei consigli per i musicisti più giovani o comunque alle prime armi?
Cercate di imparare a suonare lo strumento che vi piace e, se diventate bravissimi, non dimenticate mai il motivo per cui lo fate, non suonate solo per puro esibizionismo. Agite nel mondo come spugne, facendo tesoro di ogni informazione che vi arriva, osservando e confrontandovi con ogni episodio.
La musica rappresenta il tuo unico lavoro?
No, faccio anche un lavoro d’ufficio che mi piace tantissimo e che affronto con la stessa grinta con cui faccio musica.
Come immagini il blues del futuro?
In realtà faccio fatica a immaginare il blues nel presente. Vedo e ascolto molti bravi musicisti che poi non riescono a comunicare sinceramente, che dicono bugie per costruire il proprio personaggio – risultando poi artefatti – e con il solo scopo di avere like sulla propria pagina Facebook. Il musicista non deve piacere a tutti ed essere per forza simpatico. Vorrei che questa linea cambiasse per tornare a vivere la musica per quello che è: musica. Se suoni devi farti apprezzare in primis per quello che fai con il tuo strumento, senza compromessi.
Ti senti parte di una reale comunità di musicisti in Sardegna o oltre? Esiste una comunità in tal senso?
Faccio parte di quelli che, comunque sia, ci provano.
Donato Cherchi
E’ nato alla fine del 1990 a Carbonia, Sulcis. Ha “fatto” solo e sempre musica nella vita. Musica di ogni genere. Ora ha trovato il suo equilibrio tra voce, chitarra e le storie che canta, storie di persone che provano a farcela senza mai riuscirci.