La marcetta è una composizione musicale che non può trovare spazio nella nostra proposta editoriale. Le marce come quella di sabato 29, alla quale come Sa Scena vi aderiamo ufficialmente in veste di sponsor, sì. Saremo a Cagliari, al Sardegna Pride organizzato da Arc, Movimento omosessuale sardo, Unica Lgbt, Sardinian people for Queer revolution, Famiglie arcobaleno, settore nuovi diritti Cgil e Agedo Cagliari per la piena cittadinanza di tutte le persone.
La cifra tonda l’avremo nel 2029 (o l’abbiamo avuta 5 anni or sono), ma due giorni prima del Pride cagliaritano, ossia il 27, saranno trascorsi 55 anni esatti dai moti di Stonewall, nel Greenwich Village di New York. Allora l’orgoglio di una comunità decise di alzare volume e livello di resistenza contro le ripetute retate poliziesche (fino ad allora normale amministrazione contro una condizione che l’OMS toglierà dall’elenco delle malattie mentali solo nel 1990).
Cinquantacinque anni suonati, è proprio il caso di dirlo, se pensiamo al più generale connubio tra musica e diritti e al più specifico orgoglio omosessuale cantato liberamente in tante hit che hanno scritto la storia della musica pop.
E senza nessuna distinzione di genere. In quello stesso 1969, ad esempio, nacquero a Birmingham i Judas Priest, gruppo che non ebbe nessun problema ad accogliere subito nelle proprie fila colui che poi avremmo conosciuto come il Metal God. E fu proprio Rob Halford, «the gay guy in the band», a dire queste parole due anni fa durante la cerimonia della Rock and Roll Hall of Fame: «La comunità heavy metal è onnicomprensiva; non importa quale sia la tua identità sessuale, il tuo aspetto, il colore della tua pelle, la fede in cui credi o non credi. Tutti sono i benvenuti».
E tuttǝ sono benvenutǝ nella musica sarda contemporanea che con il nostro lavoro selezioniamo e recensiamo a prescindere dal genere proposto e dal genere vissuto da chi la suona. Dischi freschi contro i dischi rotti del senso comune che storce il naso una volta l’anno, ma (nella migliore delle ipotesi) gira la faccia i restanti 364 di fronte alle manifestazioni più reazionarie che ancora permangono in questa società.
Partecipiamo al Pride perché ne siamo convinti come persone che animano la nostra redazione. Ma partecipiamo al Pride soprattutto perché pensiamo che anche la nostra scena musicale può fare tanto attivando percorsi di emancipazione umana e di piena libertà. Per il pane, e anche per le rose.
In conclusione, facciamo nostro l’appello degli organizzatori affinché «volontariə, associazioni, partner e sponsor» possano contribuire alla realizzazione del Pride.