Stoop - Run faster when it's dark - 15 dicembre 2021 - disco della settimana - recensione - Daniele Mei - 2022 - Sa Scena - 26 gennaio 2022

Run Faster When It’s Dark – Stoop

Daniele MeiMusica, Recensioni

Run faster when it’s dark è il quarto disco degli , band emiliana che ha tra i suoi fondatori e colonne portanti il sarrocchese Carloenrico Pinna

Il ruolo di Pinna sta al centro del processo compositivo ed esecutivo − chitarre, synth, percussioni e cori − ma la sua mano si sente soprattutto nel suono della produzione, che non mostra timori reverenziali verso quelle di album più blasonati, non solo italiani. Dettaglio non casuale, data la sua esperienza come tecnico del suono all’Esagono e al Bunker di Rubiera con artisti come Kings of Convenience, Vinicio Capossela, Giardini di Mirò e Julie’s Haircut, solo per citarne alcuni. Non è certamente meno importante il lavoro degli altri componenti, da Diego Bertani, cantante e chitarrista, a Marco Ponzi, bassista, a Marco Parmiggiani, già nei Rufus Party, con la sua pedal steel. Più defilate le parti del batterista, Fabrizio Bertani, e quelle dei fiati di Simone Benassi, ma solo in questo disco e per ragioni legate alle registrazioni effettuate durante il primo lockdown, a distanza e con mezzi di fortuna. L’apporto dei due tornerà centrale nelle esibizioni live.

Run faster pesca dalla scuola nineties alternative country di Lambchop e Giant Sand con un cantato che ricorda, nel suo incedere indolente e oscuro, un ispirato Dave Gahan. Hold on ne è l’esempio più limpido.

È un disco fondamentalmente acustico, privo di distorsioni, nel quale l’elettronica gioca però un ruolo importante: la batteria è campionata ed essenziale, a sostegno delle accattivanti linee di basso. Gli archi e i fiati, riprodotti dal mellotron, contribuiscono alla creazione di un muro del suono denso e morbido, ma rock a tutti gli effetti. 

Strutturato come un concept, Run faster non può non risentire delle conseguenze del periodo storico che stiamo vivendo − “would you carry me around to get what is fading down the line” − e dello smarrimento che ha provocato in ognuno di noi − “No one really cares about anyone/No one really cares about you and me/No one really cares about all of us”.

Morning dew, These days e la già citata Hold on sono le perle più luccicanti dell’album, che, come un buon vino da meditazione, ha bisogno di qualche ascolto e la dovuta attenzione per rilasciare ogni sua molecola e farne assaporare ogni retrogusto.