ANMA Productions
Dolore e musica sono legati a mandate multiple dalla notte dei tempi. Il primo è stimolo primario e involontario per concepire la seconda, mentre questa si fa talvolta canale per veicolare la sofferenza, talvolta terapia per superarla. Cicli destinati a non esaurirsi mai, per la gioia dei tristi, ma che, anzi, spesso, si smembrano, evolvono, sovvertendosi per prendere derive inaspettate. Un sodalizio che finisce per farsi manifesto tra i solchi di un disco, ma che nasce nell’intimità di fatti, vissuti e vicende personali, esplicitati per essere messi a disposizione di chi poi su quei solchi calerà la puntina.
LEMA di Paolo Angeli è in questo senso un disco profondamente intimo che ben rappresenta questo circolo creativo in tutte le sue complessità. Un lavoro nel quale il dolore è una nebbia densa che lentamente si dirada e si trasfigura lungo le otto tracce che lo compongono; le quali a loro volta – marchio di fabbrica, questo, del chitarrista gallurese – sono degli intricati microcosmi emotivi, fatti di pieghe, dettagli e sfumature di colore figlie di un processo creativo che lascia ampio, sterminato, spazio all’improvvisazione, quindi tanto all’emotività quanto all’imprevedibilità. Ma il caso è solo apparente, quasi accidentale. Perché poi tutto torna lì dove doveva andare.
La nebbia è fitta nel trittico Periplo–Sciumara–Mavì, metà del minutaggio totale del disco, e la sofferenza si materializza attraverso il rumore e il canto. Il primo è elemento di perturbazione, il secondo, a cui Paolo fa sempre più ricorso come strumento arricchente nella sua discografia più recente, rende grazia al lamento e lo rafforza attraverso le parole. Anche qui la scelta non è casuale, perché, da grande conoscitore (e cantore) della poesia tradizionale, Angeli ha selezionato con cura i testi, trasponendone il significato originario per adattarlo al suo vissuto e alla sua musica. La coda di Mavì dirada la foschia e, nel lato b del vinile, il racconto invece si sviluppa per episodi, comunque legati dal tema del viaggio e del ritorno. Angeli volge lo sguardo a oriente (Azafran) e naviga a vista nell’onnipresente mare, magma di compresenza e di transizione ultraterrena. Qui Angeli riesce a far convivere Sun Ra, nell’omonimo omaggio che chiude l’album, e, in Nakba, il poeta e attivista palestinese Refaat Alareer morto due anni fa sotto le bombe israeliane. In mezzo echi prog (Conca Entosa), balli (Sa Ramadura), lunghe improvvisazioni e tanta poesia, contemporanea e del passato, gallurese e logudorese. La dualità del lavoro è anche ben rappresentata nell’artwork, con le due copertine, una per ogni lato del disco, realizzate da Manuche con le foto della stessa Emanuela e di Nanni Angeli.
Questo lavoro di Paolo Angeli è però anche l’emblema di come il rapporto tra musica e dolore non debba necessariamente ridursi a un binomio interscambiabile di causa ed effetto. Come ci ha rivelato lui stesso, lavorare ai brani gli è servito proprio per elaborare e rinascere: “È un disco molto autobiografico e legato quello che ho vissuto in quest’ultimo anno, caratterizzato da scomparse e partenze. Però ha a che fare con la rinascita più che con la perdita. Una rinascita consapevole”. La consapevolezza di chi sa concedersi la libertà di far saltare tavoli e schemi, di chi parte dalla perdita e si ritrova a celebrare la rinascita, di chi trasfigura i testi, sacri e profani, per dare un suono diverso alle parole, accogliendo ciò che viene, che raramente è davvero casuale. Un uomo e la sua chitarra che si trovano così soli a lasciare che le cose emergano, in un processo che non necessariamente deve portare a qualcosa, ma che spesso, come in questo caso, si svela rivelatorio e iniziatico. Chitarra come sempre coprotagonista tutt’altro che secondaria, al debutto in questo disco nella versione nuova di pacca realizzata dalla liuteria Micheluttis di Cremona e messa a punto da Andrea Orrù (Oran Guitars).
LEMA è un disco complesso sotto qualsiasi punto di vista lo si voglia guardare. Dall’immagine alla sostanza, dalla sua genesi ai contenuti di cui si fa portatore, dalla gamma dei suoni e quella delle emozioni che trasuda. Un disco di Paolo Angeli insomma, ma forse, ancora una volta, con qualcosa in più, che non ci fa stancare di parlarne e di rimandare all’ascolto per poterne cogliere appieno la complessità, ma, soprattutto, per poterci trovare tutto quello che per fortuna sfugge alle parole.