La casa è qualcosa di irrinunciabile per l’essere umano, sia per chi non vede l’ora di timbrare il cartellino a fine giornata, come anche per tutti coloro che ancora devono lottare per l’abitazione. La casa è ben più che mattoni e malta: porta un significato già in passato esaltato da occhialuti glottologi che, allisciandosi le lunghe barbe su tomi polverosi, individuarono la radice sanscrita “ska” – rudeboys, non emozionatevi – dal letterale significato “coprire”: esattamente al pari del pudore, così un tetto sulla testa va oltre l’essere un luogo e finisce per riguardare la dignità umana stessa.
Ma se tanto si è scritto sulle malinconie assortite di quando si lascia una casa e tutti i ricordi a essa legati, non è che si trovi molto sul susseguente conflitto emotivo di chi arriva in un nuovo alloggio, diviso tra lo smarrimento e l’anticipazione. E non a caso quel poco che c’è è perlopiù horror. Chi scrive ha vissuto l’elettrizzante esperienza da fuorisede e – risparmiandoci qui frastimi contro i proprietari di casa – banalmente si può dire che gran parte del trauma di cambiare casa deriva quasi sempre dal non aver più la dimora di prima.
E nel fare i conti con una nuova dimora personale, Tiziano Piu ritorna sotto le vesti de Ilmostrodellaband per affrontare gli spettri di una relazione ormai finita, e la sublime libertà ritrovata. Un’indipendenza che si prende tutto lo spazio che vuole e anche più, spintonando sul baratro di pensieri che hanno pur sempre a che fare con il tema della fine: la solitudine, la paranoia e la mai assente morte che attende, ma anche cosa ci sia oltre la fine e cioè, un nuovo inizio.
Tutti i brani de L’espressione del mostro, il primo LP di Piu firmato come Ilmostro e pubblicato indipendentemente il 4 aprile scorso, sono infatti nati nel periodo in cui l’artista si adattava alle mura non più condivise con la propria metà. Ed è proprio Rifare il letto a introdurre alle sonorità retro-futuristiche dell’intero lavoro, che pescando a piene mani dall’universo -wave degli immancabili Ottanta (darkwave, alternative dance, coldwave…), non disdegna inaspettati momenti crossover di elettronica multigusto. Synth glaciali in Serenella (nel vuoto) e bassi robotici in MD accompagnano la riflessione sul già citato tema del lutto da due prospettive diverse, speculari al future-pop dalle tinte più speranzose di New Home e Inno, che guardano invece a una vita ritrovata. Non a caso sono i due brani più “downtempo”, La prima nevrosi e Virus e Catene (tetra cronaca del lockdown come vissuto dall’artista, infermiere di lavoro), a incorniciare Spaziale, la cover di Edda che spezza l’incedere del disco e si raccorda tutta su piano e voce: ed è stato proprio uno dei produttori, l’ex Delta V e sound engineer Flavio Ferri, a mettere in contatto Piu e il cantautore meneghino. Ferri collabora da tempo con Ilmostro, ma ancor più fondamentale in questo disco è stata l’opera del producer italo-iraniano Omid Kazemijazi, che ha realizzato la gran parte dei pezzi inserendovi il suo tocco più sintetico e dark.
Se i precedenti EP avevano dato voce a Ilmostro, si può dire che questo disco gli dia ora anche un volto, stabilendo una connessione empatica con l’ascoltatore: e più che un pilastro per il progetto, sembra che Piu si sia davvero creato una casa nuova.
