Gavino Riva suona basso e chitarra (ma preferisce il primo) e canta come canterebbe Tom Waits se fosse nato a Sassari. Nel 2007 ha pubblicato Canzoni dal basso: un album di canzoni di vita e malavita, di viaggi, di mare e sole ma soprattutto di tormenti umani e rabbia profonda. Si definisce un “bassista, compositore musicista poliedrico, zingaro disincantato…” ovvero un outsider che non riesce a trovare un posto fisso semplicemente perché non gli interessa proprio.
Carriera lunga e frastagliata che attraversa generi e spazi con elegante disequilibrio: me lo ricordo nei Metrò una formazione sassarese ad elevata vocazione jazz in compagnia di Tore Mannu e Battista Giordano che, nel lontano 1987, pubblicarono un album (un evento in quegli anni) dal titolo Presage per la Split Records e la benedizione di Basilio Sulis che li propose nel suo festival in cui vinsero un meritato primo posto. Poi una lunga e variegata serie di collaborazioni (Scékinà, Mediterraneo, Amanita), colpi di fulmine e storie più durature come quella con Piero Marras e quella più recente con il bluesman Francesco Piu. Una storia umana e artistica in perenne mutazione, disponibile al contatto con altre forme di vita e una predisposizione naturale a non prendersi troppo sul serio. Termini come carriera, successo, fama non fanno parte del suo vocabolario.
In un’intervista rilasciata a Benito Olmeo ha riassunto così la sua storia: “Sono uno senza fissa dimora! Non ho una fissa dimora musicale così come non ho una fissa dimora nella vita perché mi piace mettermi sempre in discussione. A volte viene facile, a volte no. È come la vita, è come i cioccolatini di Forrest Gump. Bisogna vedere cosa peschi; un giorno peschi bene, un giorno peschi male… ma non bisogna abbattersi! Alla fine sono sempre cioccolatini, magari cambi gusto!“
Se Gavino Riva fosse nato a Pomona sarebbe sempre e comunque lo stesso immarcescibile musicista.