Elektrokohle – Kalt Wie Du Bist

Enrico Melis CostaMusica, Recensioni

Di recente si discuteva del trattare sulle nostre pagine progetti non interamente isolani, peraltro già accaduto in passato: e il pensiero è corso a quanti sardi vivano e producano all’estero, collaborando perlopiù con chi sardo non è. Meglio, perché congiurare solo tra conterranei è pura segregazione, che nell’Ovest iper-globalizzato nato dalle ceneri della storia puzza ormai di putridume novecentesco. 

Da qui, un filo rosso si lega alla lunga tradizione di chi, un tempo per trovare ingaggi usuranti e oggi per evitarli, lasci l’Isola per quell’Europa felix talmente prospera che una flessione dello 0,1 del PIL riporta gli autoctoni a ideali bui. Nello specifico, si vola a Berlino: vivace macchia multicolore sull’altrimenti grigia mappa del Brandeburgo, da sempre capitale di sé stessa più che di Germania. Il Berghain, la cultura acida, Karlbrenner e Berlin Calling, scandiscono i coetanei di chi scrive pensando a un Paese dei Balocchi fatto di MDMA e speed. Ma è anche altro, oltre questo. 

Nessuno ha mai fatto stancare Ferretti e soci dal ribadire che a Carpi abbia inizio l’Autostrada del Brennero, bahn che termina proprio a Berlino. E ben prima dei bassi sincopati, il colosso diviso dal muro era il primo centro del post-punk continentale: al pari dei CCCP, tanti si sono riversati in quegli anni alla scuola berliner sviluppando traiettorie autonome dai circoli anglofoni. Un’altra tradizione sempre viva, e dai nomi passati per gli Hansa Studios ai locali come l’8MM pare quasi che gli anni Ottanta non siano mai finiti. 

Kalt Wie Du Bist, “freddo come te/come sei”, è il debut album degli , pubblicato lo scorso primo febbraio per l’etichetta català (a proposito di globalizzazione). Progetto che nasce proprio dall’incontro di persone di origini diversissime nella metropoli tedesca, riunendo il sardo Mr. Cigarette Butt (alias di Giuseppe Murroni, synth e voce) con la tedesca Franziska Smith (a.k.a. Mona Manie, chitarra e voce) nell’andirivieni dei lockdown teutonici del 2021. Ai due si aggiunge poco dopo la bassista brasiliana Amanda Longo sotto il nome di Suzan Flag, virando la darkwave del gruppo su sonorità più taglienti e distorte: e non a caso, Elektrokohle significa bollitore elettrico. Una scintillante, cilindrica macchina in acciaio inox accompagnata da un’elegante maniglia in plastica nera, così silenziosa a orecchie esterne da apparire stoica. Ma dentro essa si cela, nella bruma fitta, un ribollire infausto che cresce e cresce fino ad esplodere.

Una macchina dall’aspetto brutalista che solo considerata nell’intera essenza rivela la sua funzione, la quale nel mercatocene corrisponde all’identità stessa. Una cupissima totalità dalle tinte metalliche avvolge dall’inizio alla fine Kalt Wie Du Bist, accogliendo l’ascoltatore sulle fredde note dell’apertura Introspective per condurlo in un viaggio attraverso un paesaggio sonoro solo all’apparenza monolitico, ma in realtà carico di influenze. C’è il noise di Träume und Aubträume e il surf tetro de Il Passato, come il sound liminale tra dance e synth di Disillusion e Junkie House, concludendo il disco con una potente title-track che torna all’ispirazione primaria, anticipando la chiusura di I Wanna Cry. Con un’onnipresente impronta rumorista e un immaginario avant-gotico, Kalt Wie Du Bist mescola italiano, tedesco e inglese con la stessa abilità con cui miscela tendenze post-punk emerse collettivamente nei decenni. Un viaggio, quindi, attraverso la gelida landa musicale abitata dal gruppo, che non a caso si definisce laconicamente la sua musica “cold punk”.

Non è dato sapere se torneranno in studio i ritmi incalzanti e i suoni ipnotici del trio, ora duo: a dicembre dell’anno scorso ha infatti pianto la prematura scomparsa della bassista Suzan Flag, a cui è stato dedicato un concerto in memoriam il 13 febbraio. Certo è che per chiunque ascolti il disco resterà ben impressa una parte importante del trio, e di Suzan in particolare, incastonata nella storia della resistenza post-punk.

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