Dalla fine degli anni novanta in Sardegna ha iniziato a svilupparsi una scena che ha raggruppato sin dagli inizi musicisti appassionati di generi affini al doom, allo stoner e alla musica psych, convogliando man mano anche un pubblico proveniente da realtà differenti. Nel tempo si sono moltiplicate le band, le etichette e, soprattutto, gli eventi, che oggi, dopo ormai più di vent’anni, sono tra le manifestazioni di maggior richiamo in termini di pubblico e hype. Tra i fautori di questa popolarità ci sono anche Guido “El Chino” Solinas e Andrea Cadeddu, membri di una delle band di punta della scena, gli Elepharmers, e fondatori di Monolithix nel 2011 con l’intento di organizzare eventi musicali. Da allora Monolithix ha messo il suo zampino in gran parte dei concerti e dei festival heavy rock che si sono svolti nell’isola e le loro attività non hanno conosciuto flessioni, ma, anzi, hanno continuato ad attirare un pubblico sempre maggiore negli anni. Un fenomeno che in Sardegna forse non ha eguali, considerando la nicchia a cui si rivolge e le tipicità del genere. Abbiamo raggiunto Guido per capire come Monolithix abbia mosso i primi passi, come portano avanti le loro iniziative, con quali difficoltà, e, soprattutto, come mai la musica che propongono, dopo tanto tempo, tiri ancora così tanto.
Ciao Guido, raccontateci un po’ quando, come e perché è nata Monolithix?
Ciao! Monolithix è nata alla fine del 2011, da un gruppo di musicisti appassionati di stoner, doom, metal, musica psichedelica, non nuovi all’organizzazione di concerti per band della scena underground. Personalmente, la scintilla che mi ha fatto intraprendere questa avventura è stata la voglia di vedere suonare a Cagliari e in Sardegna le band e la musica che mi piace, e allo stesso tempo cercare di contribuire alla crescita della scena musicale stoner/psych sarda di cui facciamo parte.
Di cosa si occupa prevalentemente ora?
Fondamentalmente la nostra attività è organizzare concerti – in Sardegna e soprattutto a Cagliari – di band stoner/psych del panorama internazionale.
Avete portato band importanti internazionali: Earthless, Black Rainbows, Bongzilla, El Perro, Tons, Mr Bison, Ufomammut, Nick Oliveri, Mgessa, Cancervo, giusto per citare gli ultimi. Dietro c’è un’importante attività di booking e direzione artistica. Chi si occupa di cosa e cosa avete da raccontarci in proposito?
Io mi occupo più di seguire la parte promozionale degli eventi, mentre Andrea segue il booking e la direzione artistica. Entrambi cerchiamo e ascoltiamo band interessanti tra quelle italiane e internazionali in tour nei vari festival in Europa e, contemporaneamente, restiamo in contatto con le band sarde da affiancare agli ospiti all’interno degli eventi che poi organizziamo.
Visti i vostri skill, per forza di cose dovete rapportarvi con altre realtà musicali dell’isola. Solo quest’anno avete collaborato Here I stay, Corto Maltese, Jailbreak Tattoos, Electric Valley e Set to Sun. Come va su questo versante?
Capita di trovare degli artisti e delle band che interessano sia a noi che ad altri organizzatori di concerti, potenziali partner che possono essere promoter, associazioni, collettivi, etichette discografiche e anche, ovviamente, gestori di locali.
Punti sicuramente fondamentali per noi al fine di instaurare una collaborazione sono la fiducia e la stima reciproca, la condivisione di un interesse vero per questo genere musicale, per questi artisti e questo tipo di eventi.
In che rapporti siete invece con le altre realtà delle varie scene di oltre mare?
In tanti anni abbiamo costruito rapporti di stretta collaborazione e molto spesso di amicizia con band, collettivi e associazioni in varie altre parti d’Italia. Collaboriamo da anni con Go Down Records ed Heavy Psych Sounds, due etichette discografiche tra le più importanti della scena heavy rock nazionale. Storicamente abbiamo rapporti stretti con diverse band e organizzatori in Piemonte, Valle d’Aosta, Lombardia, Emilia Romagna.
La Sardegna è sempre stata una terra felice per la scena psych. Ormai sarà quasi un trentennio che nascono etichette e che si organizzano festival ed eventi, con un buon seguito, sia indigeno che estero. Perchè secondo voi quelle musiche – e quegli immaginari – hanno trovato un terreno così fertile qui?
Nell’underground musicale sardo esistono ormai da decenni diverse fertili scene musicali, dove spesso i generi affini si incrociano e si mischiano. Credo che nella scena psych/heavy rock confluiscano persone che ascoltano generi diversi: metal, punk, alternative, post-rock e altro ancora.
Inoltre credo che la geografia della nostra isola abbia contribuito a creare questo immaginario. C’è secondo me un po’ di California qui. Non abbiamo il deserto ma grandi dune, spiagge che confinano con foreste, altipiani, montagne, clima caldo, torrido in estate. E poi la storia e l’archeologia, con il suo alone di mistero che risveglia suggestioni. Psych, stoner, doom e affini hanno una connessione speciale con questo habitat.
E arrivando all’oggi, perché dopo tanti anni lo stoner tira ancora così tanto in Sardegna?
È un genere che gode di ottima salute in tutta Europa: negli ultimi 10 anni i festival sono aumentati nel numero e cresciuti di importanza, sono nate nuove etichette e tante nuove band. La Sardegna è nel flusso. Il Duna Jam, un atipico festival internazionale, ha sicuramente contribuito, portando nella nostra isola molte band internazionali, facendo scoprire il genere a un importante fetta di pubblico sardo. Ma oltre a noi di Monolithix c’è poi il gran lavoro che fanno alcuni organizzatori come Jailbreak Tattoos, Doom Over Karalis (orientati verso il settore più doom e metal), Here I Stay (che muovendosi tra alternative, garage, psichedelia e avanguardie varie, ha trovato modo di dare anche spazio allo stoner), Electric Valley Records (un etichetta discografica con sede nel sassarese e un roster di band sarde, italiane e internazionali, che sta facendo da anni un grande lavoro in questo ambito musicale).
Ma voglio ricordare anche il contributo delle band stoner sarde del passato, che hanno iniziato a muovere i loro primi passi a fine anni ’90 e primi anni di questo millennio, pubblicando dischi e facendo concerti in giro per l’isola: Wildduck (poi divenuti Clench, e la loro etichetta W*uck Records), Black Hole of Hulejra, Pigs in Zen, Three Pigs Trip e altre ancora.
Una questione che sta emergendo sempre più spesso ultimamente è quella legata ai costi logistici per le trasferte delle band, soprattutto d’estate, quando i prezzi per viaggio e alloggio lievitano in maniera indiscriminata. Qual è la vostra esperienza in tal senso? E come siete comunque riusciti a far suonare in Sardegna band provenienti da ogni angolo del globo?
La grande difficoltà dell’organizzazione dei concerti in Sardegna è proprio legata ai costi e ai tempi dei trasporti. L’insularità ovviamente rappresenta, anche in questo campo, un grande svantaggio. Se una band è in tour con il furgone, si devono usare i traghetti, mezzo che comporta costi molto elevati soprattutto in estate. E, se la band fa solo una data, non si rientra con le spese. È necessario fissare più di una data, generalmente si punta a farne almeno tre, ma ovviamente non possono essere concerti in luoghi vicini; quindi si dovranno mettere almeno 50 km tra una location e l’altra perché altrimenti il pubblico potenziale sarebbe lo stesso e il rischio di flop diventerebbe molto alto. E qui entra in campo la rete sul territorio, il riuscire a fissare concerti in giro per l’isola creando una sorta di mini-tour per l’artista. Se invece il gruppo deve fare una data secca, la soluzione più efficace è farli venire in aereo. Ma, oltre ad avere un costo importante, comporta spesso anche maggiori difficoltà logistiche: sarà necessario occuparsi dei transfer del gruppo, procurare la backline e la strumentazione adatta. Sicuramente il costo dei trasporti, insieme al cachet, e alle richieste tecniche, è tra le primissime cose di cui dobbiamo tener contro nel momento in cui ci viene proposta una band. In ultimo, vorremmo sottolineare che venire in Sardegna per una band in tour è spesso causa di day-off. La band si trova costretta a “perdere” un giorno per arrivare qui e un giorno per andarsene, a causa dei tempi di trasporto. Questo porta a volte il gruppo a scegliere di suonare nel “continente” anziché qui, perché in tre giorni riescono a fare tre date, senza tempi morti per i trasferimenti. A vantaggio degli organizzatori sardi c’è che la nostra isola è per molti artisti una meta molto ambita, sia per la buona fama della nostra ospitalità, ma anche per la bellezza dei luoghi e per il fatto, assolutamente non trascurabile, che l’affluenza di pubblico realmente interessato alla musica è spesso molto buona.