È tutta scena! – Giacomo Deiana

Daniela SchirruÈ tutta scena!, Interviste

La musica può diventare un efficace strumento attraverso il quale socializzare e condividere le proprie emozioni, anche abbattendo quelle barriere che quotidianamente ostacolano chi vive situazioni di esclusione per l’inaccessibilità dei contesti nei quali si fa musica.
Ma cosa può fare davvero la musica per facilitare una reale inclusione di tutte e tutti? E cosa è possibile fare affinché la musica possa essere parte integrante della vita di ogni persona, senza discriminazioni e includendo tutte le unicità? E ancora,  come dovrebbero essere strutturati gli spazi dedicati alla musica per permettere una reale partecipazione da parte di chiunque?
Sono queste alcune delle questioni che ci siamo posti e che abbiamo pensato di estendere a chi le ha vissute e le vive tuttora da vicino.

è un chitarrista di lungo corso, non vedente dall’età di dodici anni, oggi cantautore con due album all’attivo (Pochi istanti prima dell’alba del 2017 e Single del 2019, entrambi usciti per Radicimusic Records). Ha insegnato musica, vinto premi, collaborato con il teatro e con una moltitudine di artisti, tra i quali Rossella Faa, , , Elio Turno-Arthemalle e Max Manfredi.
Lo abbiamo raggiunto per fargli qualche domanda sul suo percorso e sulle difficoltà che un musicista, insegnante e fruitore di musica non vedente può incontrare durante la propria carriera.

Ciao Giacomo, grazie per aver accettato di rispondere alle nostre domande. Vorremmo iniziare proprio dalla musica. Hai mai incontrato difficoltà nel tuo percorso per diventare musicista? Se si, di che tipo? Quando ti sei accorto di volerne fare un lavoro? 

Ciao Daniela. Personalmente, ho dovuto affrontare una montagna di difficoltà, a partire dalla mia esperienza accademica, quindi come studente, poi da professionista, sia in qualità di docente che performer. Sia chiaro, la mia non è una lamentela fine a se stessa, non sono mancate e non mancano le gioie e le gratificazioni, ma lo studio e il mestiere in campo musicale senza vedere non è una passeggiata romantica come è stata spesso narrata. Ci sono esami con materiale che va reso accessibile, ci sono gli spostamenti per raggiungere i luoghi delle lezioni, ancor più complessi se si tratta di corsi, come nel mio caso, che si sono svolti lontani da casa, essere presenti con costanza, anche fisicamente, sulla scena. Perché anche per chi non vede vale la regola che bisogna farsi vedere in giro per non farsi scordare, cosa che avviene piuttosto in fretta! Il mio pensiero va a coloro che non hanno una famiglia che ha i mezzi economici e culturali per far fronte a queste difficoltà, che potrebbero scoraggiare ragazze e ragazzi dotati di gran voglia di emergere in campo artistico e che devono arrendersi di fronte al muro di ostacoli e, mi dispiace dirlo, indifferenza.

Foto di Claudia Baldus

Insegni anche a suonare la chitarra in una scuola civica di musica. Come imposti le lezioni e l’aspetto comunicativo con i tuoi studenti? La tua disabilità sensoriale costituisce un ostacolo in questo senso? 

Insegno chitarra elettrica presso le scuole civiche di Cagliari e Quartu. Fortunatamente ho sviluppato un discreto talento (lasciatemi vantare un pochino!) nel capire quando uno studente sta applicando la tecnica in maniera errata o, per meglio dire, non funzionale al risultato desiderato. In altri termini conosco a menadito gli errori che più frequentemente si fanno quando si studia lo strumento. Questo richiede una concentrazione totale nell’ascolto ed è questo il limite: la fatica che questo comporta! Ovviamente non chiedo di credermi sulla parola ma invito chi dovesse essere interessato a seguire i concerti di fine anno per poter valutare con le proprie orecchie se i corsi da me tenuti portano a risultati degni di nota oppure no!

La musica può abbattere le barriere e grazie a essa ognuno di noi può scoprire nuovi stimoli, nuovi modi di esprimersi, di sentire. Allo stesso tempo, può aiutare anche chi vive situazioni di disagio a stare bene e a non sentirsi sbagliato. In che modo pensi che la musica possa facilitare l’interazione con le persone che vivono queste difficoltà e aiutarle a sentirsi meno escluse? 

Sai, mi sono fatto una mia idea in merito. La musica è uno strumento potente, ma gli esseri umani hanno un talento speciale nel rendere inutili gli strumenti che il mondo mette loro a disposizione, anzi, sono bravissimi a fare un uso improprio di ciò che sarebbe meraviglioso se usato per perseguire fini nobili. Purtroppo quando la musica diventa il tuo mestiere ti scontri con il fatto che hai a che fare con un mondo pieno di persone senza scrupoli, diventi, tuo malgrado, diffidente e parte della magia si perde. Non è bello ma è così. Invece, questo lo devo riconoscere, più ti allontani dal palcoscenico e vai a cercare quei musicisti che hanno scelto di lavorare nel mondo della musicoterapia, per esempio, e qualche scintilla di autentica e genuina bellezza ancora la puoi trovare. O nei piccoli festival che resistono anche quando il rubinetto dei finanziamenti pubblici viene aperto e chiuso a seconda della convenienza politica del momento. Non faccio nomi ma ho avuto la fortuna di collaborare con molti di loro.

Foto di Stefano Pilleri

Quali sono le situazioni più spiacevoli che si trova ad affrontare un musicista con problemi di disabilità sensoriale quando partecipa a eventi musicali? 

Onestamente come spettatore non ho mai avuto particolari problemi ad assistere agli eventi a cui ho desiderato partecipare, anche perché le vere barriere in questo senso sono quelle architettoniche. Diciamo che una disabilità come la mia è in questo caso meno limitante rispetto ad una che riduce la mobilità autonoma. Se parliamo di queste ultime ho più facilità ad elencare i luoghi che non presentano criticità che quelli che lo fanno!

Pensi che la tua disabilità sia mai stata causa di discriminazione nella tua attività di musicista?

Non direttamente. Rispetto a questo tema preferisco indirizzare la mia attenzione su come risolvere i problemi che costituiscono un ostacolo alla mia carriera che concentrarmi su ciò che la limita. Credimi se dico che ho un talento particolare nel vedere ciò che non funziona e non considerare i lati positivi di una questione che mi riguarda, quindi devo fare un bello sforzo per tenere il punto su questo aspetto! Non nego che il pericolo di essere discriminati, come ho detto anche indirettamente, esista, ma la vera rivoluzione è impegnarsi perché questo non accada ai miei colleghi, a tutte le persone che per un qualche motivo fanno parte di una minoranza, insomma, quando la lotta contro le discriminazioni si fa universale. Vorrei che le mie battaglie per un mondo della musica davvero inclusivo fossero viste in quest’ottica, perché il rischio che sembri che sto semplicemente cercando di rimuovere gli ostacoli che intralciano la mia personale vicenda professionale è dietro l’angolo.

Relativamente agli spazi che ospitano gli eventi, quali sono secondo te gli aspetti, tecnici e non, che gestori e organizzatori dovrebbero curare maggiormente per rendere più agevole la partecipazione di persone con disabilità? 

Come dicevo prima, le criticità maggiori che ho potuto osservare riguardano l’aspetto della mobilità. Io, non vedendo, non ho particolari problemi in questo senso, quindi non credo di essere la persona più indicata per dare una risposta in senso strettamente tecnico. Però, come dicevamo, la vera rivoluzione la avremo quando i problemi di chi non può camminare, o sentire, o vedere, saranno concepiti come i problemi di una comunità intera, anche di tutti coloro che non ne sono direttamente toccati.

Foto di Paolo Piga

Pensi che le istituzioni debbano fare di più per abbattere le barriere in tal senso e aiutare le persone con difficoltà a sentirsi meno diverse dalle altre? 

Io penso che le istituzioni faranno qualcosa di davvero significativo quando tutti si renderanno conto che accogliere le persone con disabilità è una scelta che l’umanità compie ogni giorno perché è un atto che da speranza, gioia, eleva lo spirito e rende le persone più empatiche, meno sentimentaliste e più collaborative. Se siamo sempre e solo noi diretti interessati a chiedere un intervento la nostra voce sarà sempre poca cosa, una voce fondamentale, chiaramente, però non credo, in sostanza, che le istituzioni propriamente dette, siano più importanti della società intera.

Le location dove hai suonato sono adeguate alla normativa per l’abbattimento delle barriere architettoniche? E pensi che la normativa stessa sia adeguata a rendere fruibili a tutti le location dove si svolgono gli eventi musicali? 

Direi di no. Anzi, la norma è poca cosa rispetto a un cambiamento culturale generale.

Hai suonato con diversi musicisti, quali insegnamenti ti hanno dato? E loro cosa pensi hanno imparato suonando con te?

Ogni persona che incontriamo, se abbiamo voglia di prestare la giusta attenzione, può lasciarci qualcosa. Ho imparato una marea di cose dai musicisti con cui ho collaborato, ho rubato a piene mani e spero che qualcuno abbia fatto lo stesso con me. Una cosa è certa: che tu veda o non veda, quando c’è da salire su un palco e suonare ciò che conta è che lo faccia al meglio delle tue possibilità, che ti diverta e che ti senta al cento percento connesso ai tuoi colleghi. Avrai capito che non mi sono lasciato sedurre dalla narrazione romantica della disabilità, però devo ammettere che in questi casi davvero non conta se vedi o meno, conta quello che porti con te e che sei in grado di condividere con gli altri.