Incontro Francesco Melis in una soleggiata mattina estiva. I portici ombrosi di Fertilia offrono il giusto riparo dalla calura. Se sei di Sassari e bazzichi gli ambienti musicali, Francesco Melis è una di quelle figure che conosci per forza, direttamente o per osmosi. Autodefinitosi “privo di qualsiasi talento per qualsiasi strumento” ha supportato la sua passione per la musica in altre maniere: proponendosi come DJ con lo pseudonimo di m@nsun, ma soprattutto dedicandosi all’organizzazione di eventi nel capoluogo turritano. Quella che all’inizio è una semplice passione a mano a mano diventa un qualcosa di più ingombrante, fino a diventare una attività lavorativa in piena regola, che lo porta a lavorare con svariate band di levatura internazionale come ad esempio Mclusky, Daiistar, Monsterwatch, Italia90, Fin del Mundo e tanti altri. Parliamo un po’ di massimi sistemi davanti a un caffè fra le voci dei bambini che giocano.
Ciao Francesco, innanzitutto come hai iniziato a interessarti alla musica? Hai un passato, ma ultimamente anche di nuovo un presente come DJ se non sbaglio, e ti sei dedicato all’organizzazione di concerti. Come hai cominciato questa attività?
La passione per la musica l’ho sempre avuta nonostante a casa non ci fosse tutta questa cultura sull’argomento. Non essendo dotato né di grande orecchio né di alcuna abilità nel suonare, ho deciso di girare attorno all’ambiente facendo quello che era nelle mie possibilità per inserirmi nella scena locale in qualche maniera. Nel 1997, da neo-diplomato, ho collaborato con la pagina culturale della Nuova Sardegna, cosa che si è protratta per diversi anni. Sempre per passione ho iniziato a propormi come DJ, cosa che ora faccio saltuariamente, e ho inoltre iniziato a gestire il press office per alcune band dello stivale. Col passare del tempo ho cominciato a dedicarmi all’organizzazione di alcuni concerti a Sassari. In particolare mi sono occupato nel 2003/2004 di parte della programmazione musicale dell’Animal House, uno di quei locali che un tempo proponevano band locali con musiche originali, luoghi che purtroppo sono andati lentamente a scomparire. Stesso discorso per il The Hor per il quale ho seguito la programmazione di due stagioni, dal 2013 al 2015.
Questa tua attività di programmazione di eventi musicali immagino che ti abbia portato a avviare la tua attività di manager. In cosa consiste esattamente il tuo lavoro? Che genere di band si rivolgono a te?
Io, a essere più preciso, non sono un manager, bensì un agente di booking e da due anni e mezzo lavoro per l’agenzia Annibale, fondata da Luca Landi dei Go!Zilla, nata inizialmente come etichetta discografica. Attualmente Annibale è composta da me e altri quattro agenti (oltre ad altre persone che si occupano della logistica): ognuno di noi cura le proprie band e i propri artisti. Insomma, qualcosa di diverso da quello che dovrebbe fare un manager, cioè trovare ad esempio dei contratti più vantaggiosi per i musicisti. Ho iniziato a fare questo lavoro nel 2015, quando all’epoca in Italia esisteva solo un’altra agenzia di booking: la Asap Arts. Ora la mia attività consiste nel trovare date per i gruppi che si affidano a me, contattando promoter e locali adeguati. Lavoro principalmente con gruppi esteri che si rivolgono a noi personalmente oppure tramite etichetta o management, e organizzo tour in Europa e UK. Forniamo inoltre agli artisti la possibilità di noleggiare i van per il backline tramite la nostra apposita sezione dedicata al rental. Solitamente tutti i costi relativi alla nostra attività di booking non vengono sostenuti in prima battuta dall’artista: come accade per tante agenzie, guadagniamo in percentuale sui compensi delle band.
La decisione di spostarti dalla Sardegna a Roma ha influito sulla tua attività lavorativa?
Vivo a Roma dal 2015. Mi piaceva l’idea di fare un’esperienza meno ristretta rispetto a quello che purtroppo offre la Sardegna, non solo per meri limiti geografici, ma anche per la quantità di possibilità che si creano. Stare nella penisola mi aiuta tantissimo a svolgere la mia attività al meglio. Così come è fondamentale cercare di andare a music convention per scoprire nuove band e iniziare collaborazioni con altri professionisti del settore.
Certo, a Roma è più facile fare rete, però in Sardegna hai dei rapporti di collaborazione, ad esempio quello con il Baretto di Porto Ferro per l’organizzazione del Vibes and Waves festival. Mi potresti dire qual è l’obiettivo di tale rassegna, sempre che ne esista uno?
Il Vibes and Waves è una bella realtà che è nata un po’ di anni fa e a cui mi onoro di aver dato il nome. Nasce con l’intento di portare artisti della sfera indipendente e alternative in una bella cornice come quella del Baretto di Porto Ferro. In realtà la definizione migliore che si potrebbe dare al Vibes and Waves è quella di rassegna: infatti gli eventi sono spalmati su vari giorni, cosa potenzialmente molto più remunerativa per il luogo ospitante. Negli anni, attraverso altre realtà organizzative, hanno transitato sul palco del Baretto band del calibro di Ought o The Shivas, giusto per fare un paio di nomi. Il sogno rimane quello di organizzare un festival vero e proprio da qualche parte in zona, ma per ora non c’è un progetto concreto e definito.
Hai introdotto un argomento molto interessante. In Sardegna si organizzano eventi interessanti: alcuni di essi, per esempio il Time in Jazz di Berchidda, sono diventati anche molto importanti. A tuo parere risulta essere economicamente sostenibile sviluppare questo tipo di festival ?
Come in altre parti d’Europa, la differenza la fanno i finanziamenti. Molti festival funzionano non solo dai proventi della vendita dei biglietti, ma anche grazie a contributi provenienti da enti pubblici o fondazioni, senza i quali sarebbe molto difficile organizzare eventi grossi. Non è certo un mistero che anche il Primavera Sound di Barcellona abbia delle agevolazioni notevoli da quel punto di vista: quindi non c’è da scandalizzarsi per cose del genere, anzi. Certo è che organizzare un festival con artisti diversi da quelli locali ha dei costi che vanno valutati con attenzione, soprattutto a causa dell’insularità della Sardegna. Inoltre, i locali dove potersi esibire sono veramente pochi e organizzare un mini-tour sardo per una band rischia di essere molto complicato, a meno che non ci siano dei festival estivi particolari. In Europa in generale girano più soldi e si riescono a organizzare più facilmente tournée per band che abbiano voglia di fare.
Hai citato il Primavera Sound e so che hai partecipato a molti dei più importanti festival in Italia e in Europa. In Italia pare che si faccia fatica a proporre eventi del genere, come pensi si possa colmare la distanza che ci separa dagli eventi che vengono organizzati oltre le Alpi?
È storicamente molto difficile organizzare festival in Italia, il primo festival di cui ho memoria è stato il Sonoria a Milano nel 1995 organizzato da Claudio Trotta, oggi noto per le organizzazioni dei live di Bruce Springsteen. Partecipavano allora gruppi come Cure, Faith No More, Page & Plant, Paul Weller e tutta la crema dell’alternative italiano. Purtroppo un sogno durato poco, destino che accomuna molti eventi di questo tipo nello stivale. Ci sono tuttavia molte realtà che stanno crescendo bene: lo Spring Attitude Festival di Roma è un evento con numeri e nomi molto interessanti, al contempo festival più piccoli come il Lars Rock Fest di Chiusi iniziano a essere importanti. A mio parere è necessario capire che, ad esempio, un evento come il Primavera Sound non è nato già grande: è cresciuto col tempo in maniera intelligente, spendendo in gruppi con un buon appeal ma non troppo pesanti a livello economico, per poi arrivare a quello che è adesso. Dal mio punto di vista il segreto è quello di rendere l’esperienza godibile per il pubblico, che è vero il centro del festival, e in Italia facciamo fatica a capirlo: quelli del Primavera Sound invece lo hanno intuito molto bene, al punto che ormai la gente acquista l’abbonamento sulla fiducia, senza neanche conoscere la line up. Inoltre, il tutto si svolge in una bella location, in una città attraente sotto vari aspetti e con una grande capacità ricettiva. Mi pare comunque che da questo punto di vista, tra gli eventi con nomi importanti, il festival La Prima Estate a Lido di Camaiore stia lavorando molto bene, limando alcuni i problemi organizzativi che all’inizio sono stati notevoli.
Il tempo stringe un po’, ma secondo me resta obbligatoria una domanda che ci riguarda da vicino: come vedi il presente e il futuro della scena musicale dell’Isola?
Come già accennato in Sardegna abbiamo un problema che ci accomuna a molte parti d’Italia e d’Europa: non esistono più molti locali che propongono musica live, e se lo fanno molto spesso ci si limita a show acustici o di cover. Mancando i luoghi la scena viene privata di ogni possibilità di crescita, con il rischio concreto di avere un’offerta più povera rispetto a quella che si poteva ottenere non molto tempo fa. Ad esempio, nella mia vita è stata molto importante l’esperienza che ho fatto al The Hor (acronimo di House Of Rock) a Sassari, quando siamo riusciti a portare i maggiori gruppi sardi sul palco di un locale concepito proprio per fare musica, per poi passare a gruppi più importanti come His Clancyness e Soviet Soviet. Ora luoghi del genere purtroppo scarseggiano. Nella Sassari di adesso forse sono proprio spariti. Ci sono locali come l’Abetone che si impegnano a portare avanti un progetto di programmazione artistica, ma non sono esattamente dei live club come lo è stato il The Hor, sono dei bar dove si fa musica. Naturalmente questo non aiuta la fruizione di esibizioni live.
E cosa pensi riguardo il futuro dei festival che vengono organizzati sull’Isola?
Per quanto riguarda i festival posso dire che Here I Stay fa un lavoro enorme, ma finché non avremo un sistema che ci permette di facilitare l’accesso all’Isola per artisti e spettatori, le possibilità di crescita resteranno minime: parlo sia di trasporti da e per il continente ma anche di circolazione interna. Ed è un peccato perché il connubio vacanza estiva più concerto o festival è un binomio vincente.
Spostando infine il discorso sulla scena musicale sarda, quale pensi che sia il suo stato attuale e quali prospettive ci possono essere per il futuro?
Ci sono molti gruppi interessanti che nascono e crescono nell’isola. Il fatto che ora si possa registrare un buon prodotto spendendo relativamente poco facilita molto le cose, e ci sono svariate maniere per poter distribuire la propria musica e farla arrivare a un pubblico a cui possa piacere. Però devo riconoscere che emergere non è una cosa semplice.
Perfetto Francesco, grazie della bella chiacchierata e per aver accettato l’invito di Sa Scena. Ci vediamo presto, magari al prossimo Primavera Sound
Ah se vuoi andare avvisami che ormai sono esperto. Grazie a te, a presto.