Davide Catinari

Daniela SchirruInterviste

Due chiacchiere con il presidente di , leader della storica band cagliaritana Dorian Gray, alla vigilia della dodicesima edizione del

Com’è balenata l’idea del Karel Music Expo?

L’esigenza di creare un festival che promuovesse la conoscenza di tutto quello che normalmente non passa per la Sardegna è sempre stata una necessità impellente. Per me come per tutti coloro che ogni anno vengono ad ascoltare anche gli artisti sconosciuti che vengono proposti sul palco del KME. Se ami la musica sei curioso e se sei curioso non ti accontenti delle solite cose.

Quest’anno l’edizione è intitolata “In nome del Figlio”, dopo le precedenti edizioni “Nel nome del Padre” del 2016, e “Nel Nome della Madre” del 2017. Da cosa nasce quest’esigenza, quest’idea?

La nostra è una società digitale, liquida, individualista. Quella del ventesimo secolo era analogica, tattile, sociale. La famiglia è l’istituzione che forse ha risentito maggiormente di questo passaggio epocale, trasformandosi in un laboratorio antropologico da cui originerà il futuro della razza umana. Credo che declinare le diverse interpretazioni di questo concetto possa essere un contributo alla riflessioni su chi saremo domani.

kme 2018 - vox day - karel music expo - karel - sa scena sarda

Ci sarà anche un laboratorio dedicato alla vita genitoriale. Ce ne potete parlare?

Sarà un focus sulle criticità e le prospettive dei percorsi familiari, supportato da testimonianze personali e dal contributo di studiosi tra i più autorevoli in materia.

La location. Dopo gli incredibili anni al Teatro Civico di Castello, quest’anno all’ex-Manifattura Tabacchi.

La musica, l’arte in genere, è fatta anche di nomadismo. è una città che possiede diversi siti interessanti sotto molti punti di vista, che possono offrire altrettante interessanti prospettive. Troverei, comunque, opportuno pensare a spazi che possano nascere con una destinazione d’uso specifica, visto che se ne parla da più di trent’anni.

elektro guzzi - kme 2017 - emiliano cocco sa scena sarda
Elektro Guzzi, KME 2017, foto di Emiliano Cocco

Il cartellone anche quest’anno è un mix di nomi internazionali importantissimi, anche se non proprio sulla cresta dell’onda. Come è avvenuta la scelta degli stessi rispetto al tema scelto?

La scelta degli artisti genera sempre grandi riflessioni su quali possano essere le affinità col tema del festival, ma ci sono sempre fil rouge che indicano nuove direzioni. Midge Ure, per esempio, ha battezzato la stagione del pop elettronico con i Visage e gli Ultravox. Così come Lamusa, producer e artista elettronico di nuova generazione, è indirettamente figlio di alcune suggestioni nate proprio all’inizio degli anni ottanta, anche se il suo sound è naturalmente ben diverso rispetto a quello dello scenario musicale di trent’anni fa.

Cosa vi aspettate da questa edizione?

Mai fare previsioni, è uno sport estremo.

Per il prossimo anno avete già qualche idea su chi vi piacerebbe ospitare, quale argomento vorreste trattare?

Ancora no, ma certamente da qui a Novembre prossimo staremo già elaborando il percorso sino al 2020.

Mi piace molto lo spazio che date agli artisti sardi. Faccio una domanda più generale. Da operatori storici del settore come vedete la scena musicale isolana? Vedete delle buone cose, vita o che opinione avete?

C’è una nuova scena di band e progetti solisti che farebbe ben sperare, anche perché più o meno tutti hanno avuto possibilità di esibirsi sul palchi internazionali e questo, rispetto a tanti anni fa, è sicuramente un buon segno. Il nostro essere provinciali di talento sta diventando un retaggio del passato, quando l’invidia e l’assenza di confronto con l’esterno penalizzavano la crescita artistica della musica indipendente prodotta nell’isola. Oggi ci sono molti più spazi e minori motivi di conflitto, perché la consapevolezza di essere un musicista dal potenziale futuro ti esorta a lavorare sodo piuttosto che a perdere tempo nella denigrazione del talento o delle scelte altrui.

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Blixa Bargel & Kiko, KME 2016, foto di emiliano Cocco

Un festival internazionale al centro di Cagliari, città bella e affascinante, non avrebbe potuto avere una maggiore attrattiva per un pubblico estero? Fate qualcosa per comunicare questo evento al di fuori del nostro territorio?

La nostra visione è esattamente quella, creare un appuntamento rivolto a un target internazionale, quello abituato a pagare un biglietto anche per artisti sconosciuti, fatta salva la qualità degli stessi, come succede nei più grandi festival del genere.Per questo motivo lo abbiamo sempre comunicato anche all’esterno, ben sapendo che è la fuori che succedono le cose. I modelli di manifestazione come Mondo Ichnusa, i concerti mainstream, le sagre enogastronomiche con attitudine musicale o i festival di tendenza non hanno mai avuto un grande appeal per quel genere di pubblico, paradossalmente lo stesso auspicato anche dagli operatori turistici. La sensibilità per questo genere di eventi tarda a manifestarsi nelle logiche degli amministratori, forse anche per una scarsa, per non dire nulla, conoscenza del settore. Sino a qualche anno fa il KME era inserito in un circuito di festival chiamato Network Europe, all’interno del quale figuravano operatori norvegesi, olandesi, svizzeri, tedeschi e francesi. Inutile dire che i numeri di quei festival, che proponevano una programmazione di respiro internazionale ma nessun grosso nome – per intenderci quelli da stadio o grandi arene – erano comunque irraggiungibili per qualsiasi evento fatto in Italia, specie se si considera che i più importanti della lista erano band come i White Lies, gli Hives o i Notwist, gente che fatica a entrare nelle playlist di Spotify. Nel nostro paese si esce soprattutto, se non esclusivamente, per andare a vedere il grosso nome, perché la necessità di sentirsi rappresentati da qualcosa che ci inghiotte è più importante della curiosità di capire che, in fondo, la musica di qualità non necessita di palchi enormi o piogge di palloncini, perché è fatta per trasmettere emozioni e non l’imitazione (e anche limitazione, ndr) di esse, soprattutto quando passano attraverso il monitor di uno smartphone.