Una cosa su tutte dovrebbe spingere all’ascolto di questo disco: “Troppo spesso manca l’umiltà dei musicisti di sforzarsi di capire il pubblico, di accompagnare chi ascolta a scoprire ciò che non conosce”. Questa risposta di Andrea Ruggeri al suo intervistatore che gli chiedeva cosa mancasse all’ascoltatore italiano, al di là della condivisibilità dell’opinione, racchiude al proprio interno una forte dichiarazione di intenti, definita entro confini chiari e precisi di una visione del musicista e il suo ruolo.
Ruggeri è un batterista, arrangiatore e compositore di area jazz che ha deciso di dedicarsi a un disco incentrato su Le Città invisibili. Spunto forse non casuale, a leggere le sue parole, quello di partire da un romanzo nel quale l’autore si approccia al lettore in modo aperto e interattivo, lasciandogli la possibilità di peregrinare per le città, scegliendo esso stesso l’inizio e la fine del viaggio, e proponendogli una visione delle emozioni e delle sensazioni che esse hanno suscitato in Marco Polo. E non era certo semplice rendere in musica la caoticità del reale, tanto amata da Calvino e da esso riproposta in parole tramite il sogno e l’immaginazione. Ecco che Ruggeri ci prova mettendo in piedi un ensemble composto da tredici elementi – con voci, sax, flauti, trombe, clarinetti, oboe, corno inglese, chitarre, vibrafono, pianoforte, fisarmonica, archi e contrabbasso – gestiti con sapienza ed evidentemente senza troppe difficoltà, come mostra la fluidità del risultato.
Così nasce Musiche Invisibili, riproposizione in musica di sette delle cinquantacinque città descritte da Calvino, accompagnate da testi risultanti dalla vocalizzazione di passaggi del romanzo, per mano di Ruggeri, Elsa Martin, vocalist, e Mirko Onofrio, anche a sax, voce e flauti. Il disco non può che essere quindi un viaggio nel viaggio, sospinto dalle orchestrazioni di Ruggeri, inevitabilmente organiche e mai leziose, nelle quali le dinamiche si fanno motore del movimento stesso, spaziale ed emotivo, ricercato con decisione nei brani. “A me interessa ciò che la musica può generare nel cuore di chi ascolta, attraverso il suono, attraverso una performance onesta e generosa. Tutto ciò trascende i gusti personali e crea connessioni tra le persone”. Un viaggio anche musicale, con un’impostazione di fondo jazzistica e un approccio molto free, quasi zappiano, che si districa tra folk, rock, world e musica da camera; risultato difficile da raggiungere, figlio degli ascolti più disparati e collocabile, senza pretese, in un filone di ricerca e scoperta che può partire da Sun Ra e Stockhausen, per arrivare, oggi, a Floating Points e Pharoah Sanders, o, perché no, a IRA di Iosonouncane.
Musiche Invisibili è un lavoro complesso che riesce nel difficile intento di conservare la sua leggibilità, nel pieno rispetto dell’impegno dichiarato di voler accompagnare l’ascoltatore nel percorso dipanato nel disco, intercalando, come in ogni viaggio, la novità al ristoro, la scoperta alla tregua, lo stupore al conforto, catturandone così, premurosamente, interesse e curiosità.