Parco della Musica Records, 2025
Tre tracce per 41 minuti di musica sarebbe il freddo resoconto di questa storia se analizzata e confinata nei recinti che la nostra mente meccanica talvolta utilizza. In realtà la natura e la complessità di queste composizioni ci impone di affrontarle con una buona dose di follia e di incoscienza, un atteggiamento che aiuta a superare i limiti della troppa razionalità.
Rite segna la consacrazione di una lunga collaborazione tra Zoe Pia e Mats Gustafsson e ci conduce in un altrove che può esistere solo se si è disposti a mettersi in discussione, che è quello che traspare in modo evidente dall’ascolto di queste composizioni. In questo frangente le singole personalità abdicano al loro ego, escono allo scoperto, si incontrano in uno spazio in cui non esiste anagrafe, a nulla contano le diverse provenienze e le loro storie, per forza di cose dissimili e variegate. Rite segna anche un nuovo capitolo di quella strana idea che per pura comodità abbiamo chiamato etno jazz o new folk o post folk, che – in special modo nella nostra isola – è sempre stata un terreno di sperimentazione e di ricerca e ha trovato in questo pugno di terra un substrato fertile e produttivo. Un corto circuito emozionale che ha sempre spiazzato, fatto discutere e che ancora non siamo riusciti a dominare e definire e proprio per questo ancora più accattivante.
Qualche anno fa Zoe Pia si era presentata alle nostre orecchie con Shardana, una nuova indagine sul campo che riapriva un caso che sembrava già chiuso, archiviato, ormai privo di interesse. Un cold case che è tornato a far parlare di sé grazie alla spavalda e un po’ incosciente intuizione di una musicista giovane ma già pronta a dare la sua versione dei fatti. Da lì sono partite tante altre indagini, altri suoni, composizioni, un festival molto attento al territorio e alla tradizione come Pedras et Sonus e tante collaborazioni, tra cui quella con lo svedese Mats Gustafsson la cui biografia è la perfetta rappresentazione di come sia possibile dire sempre qualcosa di nuovo in uno scenario in cui tutto sembra già detto. Basterebbero solo i più recenti lavori con la Fire! Orchestra per inserirlo in qualsiasi hall of fame anche se in questa dimensione sarà difficile che questo avvenga.
Un incontro benefico e ristoratore che ha dato luogo a tanti concerti e a queste tre tracce e 41 minuti di musica creata in presa diretta con l’utilizzo di sax baritono, flauto traverso per Mats e clarinetto, launeddas, campanacci sardi, elettronica e lumanoise per Zoe. Ma anche questa è ancora fredda contabilità. Ci dobbiamo aggiungere a questi strumenti il fiato, il respiro, il mistero di sentieri poco calpestati, il calore delle bestie che posano nella copertina, il loro suono, le campane che portano il ritmo della vita e la loro voce che sa essere crudele, arcaica, pianto e disperazione. Il nuovo folk immaginato da queste due menti sta proprio qui, in questa straniante e ipnotica danza macabra di suono e fiato, un esorcismo laico che ci riporta a quello che siamo stati e a quello che forse immaginiamo di poter diventare.
“Le manifestazioni rituali provocano una frattura della routine quotidiana, uno scarto dalla normalità” è una citazione dell’etnologa francese Martine Segalen che è stata utilizzata nel lancio dell’album e coglie alla perfezione il mood di questo lavoro e ci fa uscire dalla catena di montaggio della vita di ogni giorno, ci trasporta in una zona grigia fatta di memorie, di intuizioni, di scoperte e nuove possibilità. La stessa dimensione che si raggiunge con mirate sedute di meditazione o attraverso rituali esoterici e misteriosi e persino con la trance indotta da una suonata di launeddas, circolare e indefinibile come il respiro che la produce. Rite è anche questo.
I titoli delle tre tracce sono ispirati al grande Paul Auster (I Shut My Eyes Like A Lock, A Thousand Bird Calls, Minima. Memory. Mirage) e sono da interpretare come omaggio a un visionario che ha sempre messo in discussione la propria arte e la propria vita e allora una sua frase pescata tra le pieghe della sua opera ci sembra il miglior modo per entrare in sintonia con queste musiche e non smettere di creare: “C’è sempre posto nel cervello per un’altra storia, un altro libro, un altro film.” E anche per altre musiche e altri suoni.