hardwin - you're gonna hit the ground - sa scena sarda

You’re Gonna Hit the Ground – Hardwin

Luigi BuccuduMusica, Recensioni

You’re Gonna Hit The Ground è l’album che riassume l’esperienza decennale degli , quintetto di fondato nel 2008.

La ricerca di una via percettiva alternativa sembra la tematica principale del lavoro e lo si potrebbe intuire anche dalla copertina, sulla quale è raffigurata la sagoma luminescente di un uomo che si appresta a varcare la soglia di un ipogeo, con evidenti richiami alla cultura psichedelica.

È da questa premessa che si deve partire per comprendere in maniera genuina il progetto degli Hardwin.

L’esigenza di fuga dagli ingranaggi della vita moderna è ben rappresentata dalla track d’apertura Mechanical Mind, la quale è anche l’incipit ideale per presentare le intenzioni di viaggio di questo disco d’esordio.

Vero filo conduttore di tutta l’opera è sicuramente la sapiente e ispirata tromba di Pittau che riesce ad affascinare con la sua presenza costante ma mai eccessiva, senza cedere un solo secondo al virtuosismo fine a se stesso.

Le venature jazz si palesano quindi dall’inizio e accompagnano l’ascoltatore per tutte le 12 tracce, sia in quelle più tipicamente rock come You’re gonna hit the ground pt1 o le “floydiane” Hit Me, You’re up in the Sky e You’re gonna hit the ground pt2, sia nei pezzi più distesi e rarefatti.

Si potrebbe avere la sensazione di avere a che fare con una dimensione totalmente strumentale, in realtà sono numerosi i momenti in cui le voci intessono linee melodiche incisive ed eleganti o fanno capolino con interventi recitati o figli di vere e proprie improvvisazioni.

Un album nel complesso agile, che rappresenta in maniera convincente gli stilemi del rock psichedelico senza però privarsi di momenti apparentemente devianti.

Spicca In the Submarine, più elettronica nelle basi, col suo minuto e quarantotto secondi di delirio acido e squisita sperimentazione. Oppure l’ossessiva I’m With you I’m in you, o l’indagine introspettiva della mistica e breve Holy Tears che conclude l’album con gli stessi interrogativi esistenziali con cui si è aperto.

Sembra invece mancare nell’opera un vero e proprio punctum, una formula identitaria più decisa che permetta all’ascoltatore distratto di esserne immediatamente rapito, scongiurando il rischio di un rapido derubricamento.

L’elegante e raffinato richiamo alle sonorità seventies pare essere fondamentalmente ad uso e consumo di chi lo sta suonando, risultando più una nostalgica culla autoprotettiva che una vera esigenza comunicativa.

Quello che non è chiaro, ma che probabilmente è la sua forza intrinseca, è la direzione concettuale dell’album, sempre in bilico tra lo slancio verso il desiderio di un cielo terso e incontaminato e una forte zavorra di contemporaneità urbana dalla quale però è difficile affrancarsi totalmente.

Bersaglio fallito quindi? Tutt’altro.

You’re Gonna Hit The Ground saprà coinvolgere chi ha la pazienza di azzerare il volume degli innumerevoli input che l’era digitale impone nostro malgrado, senza pretese di meccanismi sofisticati o sensazioni ipertrofiche ma con l’intenzione di abbandonarsi a un ascolto consapevole e lenitivo.

Approcciarsi agli Hardwin di conseguenza non è un’occupazione a tempo perso. Lo si deve fare volontariamente e con coscienza.

Allo stesso tempo, però, sarà un po’ come ritrovare il piacere di dimenticarsi delle pressanti scadenze lavorative e passare un’oretta a guardare il lento movimento delle nuvole distesi sul prato del proprio giardino.