Siamo nel 2007 quando Mauro Vacca pubblica il suo primo album con il moniker Vanvera: A Wish Upon A Scar pubblicato dalla Here I Stay che in quel periodo fece uscire un pacco di super produzioni indipendenti.
Di Mauro avevamo avuto notizia grazie alla sua militanza in un trio che si faceva chiamare L’Arte Del Fallimento insieme ai fratelli Pisano e lui stazionava dietro alla batteria con fare sornione e distaccato. Poi le cose si sono evolute e Vacca si è buttato dentro la musica in modo assoluto e viscerale e sono venute fuori tutte le sue qualità di polistrumentista, compositore e ottimo performer. Vanvera raccoglie in questo lavoro tanti anni passati a suonare, studiare, provare, comporre, distruggere e ricostruire. Il suo primo album ufficiale (che segue in verità Thug Hugs, un CD autoprodotto del 2004) è soprattutto un incredibile contenitore di citazioni, di omaggi alla sua gente, alla storia del rock più oscura e sincera. L’elenco delle influenze è lungo e prestigioso e solo per ragioni di spazio possiamo citare Johnny Cash, Nick Cave, Leonard Cohen, Stan Ridgway e tanti altri in una via crucis di storie maledette, di polvere e tormenti, di cadute e rinascite inaspettate. Un disco che rimane ancora oggi prezioso e tanto attuale e le composizioni di Vacca emergono per qualità, sincera partecipazione e persino un velato omaggio a quel paese d’ombre che è il suo mondo e il suo habitat. Da qui Vacca riprende una storia fatta di altre storie, di nuovi incontri – soprattutto quello con Roberta Etzi – e di altre fortunate esperienze sonore. La sua è musica infestata dai fantasmi di un passato ingombrante come quello dell’universo post punk, retromania liberata dalle scorie della nostalgia canaglia e una continua voglia di esserci, di divertirsi e stare al mondo. Vanvera è un patrimonio della nostra musica, forse uno dei più sinceri che ci siano in circolazione. Raramente delude e le sue proposte non temono l’insidia del tempo e delle mode.