La storia dei Welfare State ci riporta dritti agli anni Ottanta del vecchio secolo nelle cantine della swingin’ Cagliari, esattamente al 1981 quando Roberto Corte (batterista senza scupoli) e il proto-bassista Roberto Loi (amici e compagnetti di scuola) iniziano a suonare qualcosa insieme. Si aggiunge subito dopo Flavio Piga e le sue tastiere e Daniele Sanna con la sua chitarra reclutato a seguito a un annuncio su Il Baratto come nelle peggiori leggende che il rock ci ha abituato ad amare.
L’obiettivo era quello di riuscire a dare sfogo a una sfrenata passione musicale e attingere a un background fatto di rock sinfonico, psichedelia di scuola Floyd primo periodo, insana attitudine lisergica e persino una spruzzata di new wave che in quel periodo era il nuovo verbo a cui fare affidamento.
Nella band ci hanno bazzicato anche Roberto Cubeddu e Mino Martone fino al 1983 quando arriva Vittorio Pitzalis, portatore sano (ma non troppo) di umori blues e perfida blackness e si aggiunge anche Riccardo Melis alla voce e tanti altri musicisti in un via vai abbastanza consueto in questi ambienti: tra i tanti ricordiamo Riccardo Carta, Cesare Orrù, Paolo Pani, Corrado Salis, Andrea Murgia, Mario Loi e chissà quanti altri.
La band si inserisce a pieno titolo sulla scia della grande sbornia psichedelica di quel periodo e gli anni Sessanta diventano territorio di caccia e pascolo con tutti i colori dell’arcobaleno e le grandi sgroppate lisergiche alimentate da visioni e rimembranze di un universo parallelo tanto beatificante quanto immaginario e artificiale. Sono anni di intensa attività con la partecipazione ai vari festival organizzati per glorificare la scena psychogarage e anche un passaggio al programma radiofonico Un Certo Discorso della RAI condotto da Giancarlo Susanna che al tempo era una splendida vetrina per rocker senza speranza e senza patria.
La band compone anche diverse tracce musicali che per diversi motivi rimarranno nei cassetti di qualche vecchia scrivania parcheggiata nella cantina dei ricordi.
Serreli dedica al gruppo una scheda in cui ricorda che loro si definivano “il gruppo underground più sottovalutato dell’isola” ed effettivamente di loro si sono perse le tracce e nessuna testimonianza discografica. Ma come nei peggiori film a volte ritornano…
Nel 2016 Nicola Macciò aka Joe Perrino decide di organizzare un concerto in ricordo dell’amico Mario Loi, acid star da poco scomparso e invita Roberto Corte a rimettere in pista i Welfare State per un omaggio al vecchio pard che nel lontano passato ha militato sia nei Mellowtones sia nei Welfare State.
Da quella densa nebbia di ricordi e sensazioni nasce una serata piena di belle vibrazioni e un passato che ritorna in modo impetuoso. Proprio in questo frangente scaturisce la voglia di completare un discorso iniziato tanti anni prima e mai portato a termine: incidere finalmente il repertorio originario dei Welfare risalente ai primi anni Ottanta.
Una scelta difficile e faticosa ma che alla fine ha pagato ed ecco che quei suoni e quegli umori rimasti assopiti per tanto tempo riprendono vita e colore e finalmente è possibile riascoltarli e farsi un bel trip come se niente fosse successo nel frattempo.
Nella nuova dimensione ritroviamo Vittorio Pitzalis, Roberto Loi, Riccardo Melis, Flavio Piga e Roberto Corte e 14 canzoni ad alta caratura psicotropa e quei suoni che ci riportano a un mondo che non esiste più senza passare dal via.
Ma si sa che il mondo è quello che noi ci immaginiamo e allora ben venga questa dimensione parallela che in qualche modo ci rende immortali e senza tempo. La realtà può attendere.