Copertina di Ctrl+Alt+Synth, album di Wearesynthetic

Wearesynthetic – Ctrl Alt Synth

Simone La CroceMusica, Recensioni

In bella vista nel nome della band, nel titolo dell’album e anche nella cover del disco, il synth detta legge anche in questa seconda felice pubblicazione dei , a due anni da quel Ready for porn che tanto aveva solleticato le orecchie alla nostra redazione. In Ctrl Alt Synth tutto – fin dall’artwork – straborda di tinte plasticose e sintetiche, dettagli sbrilluccicanti e un’evidente e radiosa attitudine cazzona. Ingredienti che, ça va sans dire, speziano a dovere tutte le nove tracce dell’album.

LCD Soundsystem, french touch e il synth pop degli anni 80 tutto, tenebroso o scintillante che fosse, certo; ma c’è anche – e soprattutto – il filone indie-dance del nuovo millennio di gente come Gossip, Metric, Tv on the radio e OK Go, tanto nell’anima cialtrona quanto nella dovizia riversata nel riproporre, in live e in studio, una davvero efficace e serissima sintesi di elettronica, disco e r’n’r. Una sintesi nella quale non tutto è good vibes: ci sono momenti introspettivi e psichedelici, ma anche in quei frangenti non si smette un attimo di battere il piedino.

Già, perché i Wearesynthetic fanno ballare, anomalia sgargiante in questa fase revisionista in cui il panorama alternativo internazionale volge lo sguardo al lato oscuro del post punk, tralasciando un po’ troppo gli spiragli luminosi e ottimisti che invece c’erano, eccome. Che, nonostante le tentazioni dance rock di fine decennio, hanno continuato a fermentare sotto pelle fino a oggi. Perché stringi stringi, ballare piace sempre, alle nuove leve ma anche ai reduci degli anni ‘90: quei più o meno quarantenni di oggi – intorno ai quali è nato anche questo progetto – che bazzicano ancora quei lidi e hanno ancora voglia di saltare e divertirsi sotto il palco.

Forse un po’ si vergognano a dirlo, a farsi vedere dai figli o a rinunciare al mood lascivo della giovinezza, ma beneficiano di un ritardo nell’invecchiamento che ne porta fuori la parte migliore nel pit. E chi – come il sottoscritto – ha avuto la fortuna di assistere a un set dei Wearesynthetic abbastanza vicino al palco da vedere chiaramente Sabrina Salerno in bella mostra sulla cassa della batteria, conosce bene il significato di queste parole.

Il loro background d’altronde non poteva che condurre a questi esiti. Sono vent’anni che i tre suonano insieme in una sala nelle campagne sassaresi, spesso condivisa con gli amici musicisti del giro turritano, e da quelle session sono nati tanti progetti. Tra questi il primo embrione dei compiantissimi De Grinpipol, nei quali il frontman Franco Demontis ha suonato una delle due chitarre e dai quali ha travasato nei Wearesynthetic tante delle loro cose migliori. E questi ultimi sono figli proprio di quelle serate con Gerolamo Barmina (sequencer, programmazione, sample e batteria, anche sul palco) e Roberto Pilo (basso e voce), ennesima conferma di un humus umano e musicale sempre in grinta che ha rinunciato da tempo all’autoreferenzialità e che trova ancora nel presobenismo una ragione per fare musica.