Copertina di Viva il male, album dei Vilma

Viva il male – Vilma

Francesco Bustio DettoriMusica, Recensioni

Sono passati dieci anni dai primi ringhiosi vagiti dei Vilma, tremilaseicentocinquantadue giorni caratterizzati dalla pubblicazione degli Ep Vilma S/T e Miyagi e degli album Primo e Non vedo niente. La vita della band è stata scandita inoltre da numerosi sudaticci concerti su e giù per la Sardegna e nello stivale, compreso l’Italian Party 2023 organizzato a Umbertide dall’etichetta To Lose La Track. 

Il nuovo lavoro di Olmo, Ovidio, Simone e Tomaso, uscito proprio per To Lose la Track e V4V, è intitolato Viva il male e rappresenta un modo perfetto per idealizzare un genetliaco rotondo, nonostante le registrazioni risalgano a qualche tempo prima. Sono passati infatti almeno un paio di anni da quando i quattro musicisti sassaresi andarono a Bologna per registrare le sette tracce che compongono l’album, sotto la guida di Andrea “Sollo” Sologni (Gazebo Penguins). Fra le mura del Vacuum Studio di Bruno Germano (che ha lavorato tra gli altri con Daniela Pes, Iosonouncane, Giardini di Mirò, Julie’s Haircut, Massimo Volume) e del Donkey Studio del compianto Matteo Romagnoli (Lo Stato Sociale) le intenzioni dei Vilma hanno preso pian piano anima e corpo. 

Il disco dice tutto quello che è necessario in soli 20 minuti di fedeltà emocore, rapido ma non dritto, ma anzi spigoloso e contorto, con liriche coraggiose e dotate di una macilenta poesia, che trattano temi capaci di spaziare dalla denuncia sociale ai rapporti umani, passando per amore e diversi piani di esistenza. 

L’impatto della copertina firmata da Familia Povera (alias Jacopo Lietti dei Fine Before You Came) precede Chiama quando arrivi, singolo apripista pubblicato nel luglio scorso, che risulta essere una smaccata dichiarazione di intenti su quello che succederà nel resto dell’opera: chitarre distorte e irregolari guidate da una sezione ritmica collaudata ed efficace. ZYY mette in luce in maniera illuminante l’intenzione di tenere la voce un pelo “sotto” nel mix, creando probabilmente un attimo di difficoltà nell’afferrare alla prima ogni singola parola, ma al contempo dando un effetto di compattezza a suoni e frequenze. Cerdo mette in mostra un suono di basso incisivo e irriguardoso, che guida la canzone tra vortici plumbei e stasi grigiastre, leitmotiv seguito anche da Cantona e dalla sua disarmante amarezza. Mono può a buon titolo essere annoverata come uno dei vertici compositivi dei Vilma, con intricati rampicanti chitarristici che vanno ad abbracciare alcune fra le parole più significative mai vergate nelle loro canzoni. Pugno, con il suo incedere martellante, è saggiamente posta come contraltare all’ultimo episodio di questo percorso, VMXS, una sorta di rielaborazione in salsa Vilma degli anni ’90 che scolpisce nella pietra quello che è un po’ il manifesto della band con l’urlo definitivo “viva il male per sempre” a sigillare un discorso essenziale e privo di esitazioni.

Il sound dei Vilma è fedele alla linea e presenta una coerenza con i lavori del passato, dove le chitarre sanno essere taglienti o contundenti secondo necessità, il basso e la batteria vanno a rappresentare atrio e ventricolo dell’impatto sonoro, mentre affascina il grande ricorso a cori e seconde voci. Un capitolo a parte meritano i testi, i quali riescono ad essere emotivamente difficili e coinvolgenti, e che necessitano non solo di un ascolto ma anche di una lettura dedicata, per poter godere in maniera completa di un lavoro notevole. La sensazione è che il tempo che passa e le pressioni imposte dalla società abbiano radicalmente influenzato la scrittura dell’album, incidendo nelle carni tematiche impegnative che hanno un peso specifico immenso nella società attuale. 

Viva il male deve essere considerato come un qualcosa che segna la piena maturità artistica di una band come i Vilma: non è un disco accogliente, né deve esserlo, ma una cosa è certa: una volta che si rimane colpiti, come da un diretto in pieno volto, non si tornerà più indietro.

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