Recensione di Muflone
Gli Slim Fit sono una band di Cagliari nata nel 2010, formata da Daniele Garzia, Claudio Orefice, Piero B e Roberto Sechi. Hanno al loro attivo due EP autoprodotti, 1963 del 2012 e Alberto del 2015.
Il loro ultimo lavoro, quello che mi accingo a recensire, Vimini, è uscito ormai un anno fa.
Considerato il loro primo vero disco completo, Vimini è stato registrato in una casa cantoniera di montagna, lontano da tutto e da tutti. L’intento era di recuperare le idee e loro stessi (intesi come musicisti), portandosi fisicamente e metafisicamente in una situazione d’isolamento.
Diciamo subito che si naviga in territori tipicamente elettro-rock, ambito nel quale i quattro elementi della band paiono trovarsi a proprio agio.
Si parte con tre pezzi tipicamente di genere. Stroboscopico, il singolo che ha preceduto l’uscita del disco. Poi la titletrack e Jumbojet che, s’inseriscono perfettamente nel filone italiano della dance suonata con piglio rock, simbolicamente rappresentato dai Subsonica e dai Bluvertigo. I ragazzi sanno scrivere un ritornello. Si sente che hanno lavorato ai suoni dei propri strumenti, manca però quel tocco in più nella produzione, davvero troppo essenziale per il genere che trattano, e un filo di coraggio nella composizione.
Egoinomane
Il trio di pezzi che segue alza notevolmente il livello: Egoinomane (a mio avviso il pezzo più bello del disco), vira nel territorio dei Soulwax. L’influenza è importante e ritorna in diversi brani. Marxjani e Oroscopo invece sono due strumentali che proiettano nei primi ’80. Sono certamente azzeccati, con delle influenze che vanno dai Daft Punk ai primi U2, quelli che ancora suonavano per intenderci.
Si prosegue con Obsoleti, Fuoco, Spettri e Quel giorno sulla luna. Brani che tra vagheggianti ricordi degli Interpol, degli Editors, ma anche, dei Bluvertigo poco aggiungono o tolgono al discorso appena fatto.
Se l’intento era di creare un album “senza tempo”, i nostri non ci sono riusciti. È chiaro, infatti, che le influenze della band, sia nella musica che nelle liriche, sono tutte nel primo decennio del 2000, tra quelle band che hanno cavalcato il revival anni ’80.
Discorso a parte merita la voce, vero e proprio ago della bilancia in questo disco.
Mettiamola così: se hai una voce dalla timbrica molto simile al cantante della band più nota della tua zona, forse è meglio tentare di cantare diversamente. Si corre sennò il rischio di sembrare il cugino povero. E, infatti, ogni volta che la voce perde una certa ridondanza e va verso un modo di cantare più intimo e trascinato, i pezzi ne traggono enorme giovamento. Esemplare da questo punto di vista è la già citata Egoinomane.
Tirando le somme, Vimini è un album con delle buone intuizioni e scritto piuttosto bene da dei ragazzi chiaramente appassionati ma ancora non del tutto maturi musicalmente. Avrebbe meritato una scelta più ponderata dei pezzi e sicuramente una produzione più intraprendente e coraggiosa. Spero continuino su questa strada e ci portino qualche bel disco coraggioso, le basi sono ottime.