Il bassista dei Dirty Hands intervistato per la rubrica Talkin’ Blues, in collaborazione con Cagliari Blues Radio Station
Intervista di Simone Murru
Valter Spada, classe 1972, inizia a suonare il basso elettrico da adolescente. Nei primi anni 90 intraprende il suo percorso con le band a Cagliari e suona prima nei No More Blue e dopo qualche anno, nel 1994, entra nei QQuartet. Successivamente, nel 1998, con Vittorio Pitzalis fonda i Roots & Blues che in circa dieci anni di intensa attività live e la produzione di diversi demo sono presenti nei cartelloni di importanti festival in Sardegna e in Italia, come l’Underground Blues Festival nel 2000, Narcao Blues nel 2003 come finalisti del concorso, Roots and Blues Festival di Parma e Rovigo nel 2004, ancora Roots and Blues Festival sempre a Parma nel 2006 sino ad aprire il concerto di Robert Plant a Cagliari nel 2001. Nel 1999 entra a far parte anche dei Nur e nel loro progetto split NEMOS nel 2017. Intanto nel 2010 entra nei Dirty Hands, band rock blues cagliaritana con la quale condivide attualmente un’intensa attività live e in studio. Gli altri progetti ve li raccontiamo più avanti.
Discografia: Roots & Blues,”Narcao Blues, Live From Sardinia” (2004), Dirty Hands, “Dirty Hands” (2014), Dirty Hands, “II – Revolution Chair” (2019), Davide Pirodda, “Land Of Dreams “ (2017), Nur “NUR” (2001), “Chentu Colores” (2005), “Nemos” (2011), Antonio Pani e Nur “Rimas” (2015).
Domanda di rito, quando è avvenuto il tuo incontro con il Blues?
E’ avvenuto all’età di 16 anni, quando un amico mi fece conoscere Albert Collins e Stevie Ray Vaughan. Dopo qualche anno ho iniziato a suonare nei No More Blue (nome “rubato” ad una canzone di Roberto Ciotti). Nonostante sia passato molto tempo i componenti di quella band sono ancora in stretto contatto e continuano a suonare nel genere: Enrico Polverari suona la chitarra con Fabrizio Poggi e i Mississippi Mood (blues band romana), Simone Murru (armonica) suona con Marco Noce, Domenico Cocco e Franco Fois nei Mojo Workers, Mauro Amara suona e canta nei Music Row District e nella Easy Blues Band, Luca Pisanu è il bassista dei Mississippi Mood e di mille altri gruppi della scena blues romana.
Tra i vari progetti ci presenti quello dei Dirty Hands?
La band si forma nella primavera del 2006. L’idea alla base del progetto è un rock blues semplice e diretto che ha come fonte di ispirazione i gruppi degli anni ’60/’70 come gli Zz Top e i Cream senza dimenticare i grandi padri del blues tradizionale come Muddy Waters, Howlin’ Wolf, Robert Johnson, tutto decisamente filtrato e interpretato dal sound dirties.
Il mio ingresso nel gruppo è avvenuto nel 2010 con William “Williboy Taxi” Rossi, voce e armonica, Francesco Nieddu, chitarra, e Tommaso Pintori, batteria.
Tra i tanti palchi avete calcato anche quello di Cerea, Blues Made in Italy, un festival di riferimento nel panorama nazionale, come è andata?
E’ stata un esperienza importante che ci ha dato l’opportunità di confrontarci con molte altre realtà presenti al festival provenienti da tutta la penisola. Tutto si è svolto dal primo pomeriggio sino a tarda notte su due palchi (uno “acustico” e uno “elettrico”) dove nell’arco di una giornata hanno suonato quasi un centinaio fra band e artisti solisti. Nella stessa edizione si sono esibiti anche i Bad Blues di Cagliari con i quali, per l’occasione, abbiamo festeggiato brindando con “qualche” birretta intorno a decine di espositori di cd, vinili, t shirt e strumenti musicali, che realizzano una vera e propria fiera del blues, credo unica in Italia.
Dal punto di vista creativo come avviene il processo di costruzione dei brani nella band?
In realtà non c’ è una regola fissa. Può capitare che si lavori su un’idea”, un riff o una linea melodica, per poi trasformarla con il contributo di tutti in un brano vero e proprio; oppure che si lavori direttamente su un brano su suggerimento di uno o due al resto del gruppo. Altre volte nascono nelle jam e nelle improvvisazioni in sala e devo dire che quest’ultimo metodo è piuttosto pericoloso per i Dirty Hands perché la tendenza allo scazzo è sempre altissima.
In quanti altri progetti sei coinvolto?
Suono attualmente con due gruppi relativamente nuovi:i Music Row District, band di Neotraditional Country e i Country Cousins con i quali eseguiamo un repertorio di traditional blues, bluegrass, gospel e country utilizzando solo strumenti acustici come chitarre, percussioni, violino, banjo, e cigar box di basso e chitarra costruiti da Daniele Cuccu il nostro chitarrista. Inoltre collaboro con Franco Montalbano in sede live. Con i Roots n Blues continuiamo ad esibirci dal 1998 con una certa regolarità. Infine suono poi con I Meglio Soul…Che Male Accompagnati, una band di r’n’b che ha come nucleo di base i vecchi Quartet.
Sei impegnato in tutto con sei band. La musica è il tuo unico lavoro?
Potrebbe sembrare, ma ho sempre scelto di suonare solo quello che mi piace e di farlo con le persone più affini sia dal punto di vista personale che musicale e di conseguenza il volume degli affari musicali è limitato a questa scelta. Principalmente lavoro per un’azienda in tutt’altro campo e per tenere in piedi i progetti musicali, per studiare, provare, registrare e suonare sui palchi devo “sacrificare” la maggior parte del tempo libero che mi lascia il mio lavoro “normale” .
Se dovessi scegliere tre dischi tra quelli sentiti e comprati?
Tre dischi sono pochi, ci provo: “Albert” di Albert King, “Live At The Regal” di BB King, Uno qualsiasi di Muddy Waters.
Cosa stai ascoltando in questo periodo?
Un sacco di cose diverse: Seasick Steve, Blackberry Smoke, Muddy Waters, Lucio Dalla, Nine Below Zero, Bob Marley, Pat Metheny, Black Sabbath, King Crimson, Tears For Fears, P.F.M.
Quali sono i tuoi bassisti di riferimento?
In ambito blues sicuramente Willie Dixon (Muddy Waters e Chess Records resident,ndr), Donald “Duck” Dunn (the Blues Brothers band, ndr), Bill Wyman (The Rolling Stones, ndr), John Mcvie (Fleetwood Mac, ndr) e John Paul Jones (Led Zeppelin, ndr). Fuori dal contesto blues un milione di altri.
Nel 2001 con i Roots and Blues avete aperto il concerto di Robert Plant a Cagliari. Come è andata?
Non capita tutti i giorni di suonare di fronte a quasi 5000 persone. Personalmente la prima cosa che ho pensato quando ci hanno confermato l’evento è stata: che culo! Sono passati molti anni ma ho ancora qualche ricordo nitido: un sound check brevissimo e immediatamente dopo un set di mezz’ora, breve ma intenso. E’ stato particolarmente emozionante anche per il fatto che suonando a Cagliari “giocavamo in casa” e tra il pubblico erano presenti un sacco di amici. Purtroppo non abbiamo avuto tempo per interagire con Robert Plant. E’ arrivato poco prima del soundcheck scortato dal suo entourage di manager e guardie del corpo, ma si è dimostrato molto cordiale e gentile.
Con i ragazzi della band, invece, è stato facile scambiare due chiacchiere.
Qual è stato il tuo miglior concerto da spettatore?
In ambito blues sono stati i Nine Below Zero al Big Mama di Roma nel 1998, credo. Non so se sia stato il migliore in assoluto, ma una botta di energia così la ricordo ancora oggi. In ambito più generale, lo spettacolo di The Wall di Roger Waters allo stadio Olimpico di Roma. Fantastico!
Qual è lo stato del blues in questo momento?
Non saprei. Le leggende ci hanno lasciato da tempo e non vedo un grandissimo ricambio generazionale anche se trovo difficile, per ovvi motivi, che qualcuno oggi riesca a fare meglio di loro. Contemporaneamente c’è stata una bella riscoperta del blues tradizionale, delta e country blues. Chi mi stupisce è Faris Amine, lui è eccezionale nel fondere il blues con le musiche della sua terra (è di origini Touareg da parte di madre) quindi il suo risulta essere un approccio e uno stile originale rispetto a quasi tutti gli altri modi di fare blues. È un chitarrista hendrixiano che suona il blues del deserto, semplicemente fantastico.
Come descriveresti lo stato del blues in questo momento in Sardegna?
Credo che grazie ad artisti come Francesco Piu, i Don Leone e Vittorio Pitzalis il blues fatto in Sardegna stia iniziando ad essere conosciuto in tutto il territorio nazionale ed europeo. Molti ancora stanno facendo bene come i Bad Blues , Matteo Leone e gli Sharecroppers . Per “ragioni geografiche” ci manca il confronto con il resto della scena nazionale che permetterebbe a tutti una crescita importante e una maggiore consapevolezza dei propri mezzi. Mi rendo conto che partire dalla Sardegna comporta dei costi e dei sacrifici non indifferenti, ma è fondamentale per la crescita artistica dei musicisti e per il confronto con le altre scene. Il rischio altrimente è di isolarsi sia musicalmente che mentalmente.
Il web e la distribuzione digitale della musica può aiutare a colmare questa distanza?
Nel web c’è talmente tanta musica che è davvero difficile distinguersi tra migliaia di produzioni. Il web può promuovere efficacemente un progetto dopo che questo è già conosciuto e ha un suo pubblico. Penso che siano la personalità e la qualità della propria musica a permettere di emergere. Mi rendo conto che questo è una strada in salita, ma credo fortemente sia anche l’unica percorribile.
Prima si salutarci, consigli un musicista o un disco made in Sardegna ai nostri lettori?
Faccio volentieri più di un nome: Vittorio Pitzalis con Jimi James, Bad Blues con Back On My Feet, Francesco Piu con Crossing, Dirty Hands con Revolution Chair e qui sono decisamente di parte!.
Grazie Valter e lunga vita al Blues
Grazie a voi e se siete arrivati a leggere sino a queste righe, grazie per la pazienza! Se siete interessati alle band che ho citato o se volete chiedermi qualsiasi altra cosa potete contattarmi attraverso il mio account facebook “Valter Spada“. Buona musica a tutti!