S A R R A M - intervista - sa scena sarda - 2018

Intervista a Valerio Marras

Daniele MeiInterviste

La lunga e avvincente intervista con l’oscuro musicista nuorese. ci racconta la sua storia e la storia delle sue band ( e ) e del suo progetto solista S A R R A M!

Abbiamo voluto rompere un po’ gli schemi, andare oltre l’idea che un articolo per essere letto debba essere corto. Vogliamo provare a trattare le persone per quello che sono, non semplici numeri comandati da una mano invisibile (e nemmeno tanto), ma degli esseri umani pensanti, curiosi, ancora capaci di provare passione e interesse per qualcosa che non sia la solita minestra avvelenata.

Questa intervista non poteva essere slegata anche nella forma dall’arte musicale del protagonista. Quella musica così bella, interessante, per certi versi nuova, che solo andandoci a fondo, mettendoci un pizzico del vostro impegno, riuscite a scoprire. Un’intervista lunga, senza fronzoli, articolata.

Ne siamo orgogliosi qua a Sa Scena Sarda, e siamo convinti che vi piacerà, arriverete fino alla fine e ci ringrazierete.

Eccola.

Innanzitutto chi è Valerio Marras. Com’è nata la tua passione per la musica e come si è evoluta?

Ho iniziato ad ascoltare musica quando ero molto piccolo. Ricordo mia madre che ascoltava sempre un sacco di lirica e classica e mio padre che si dilettava in casa con la chitarra, tra echi hendrixiani e gli eroi di Woodstock.

Penso ai viaggi con Lennon e De Gregori in sottofondo. I Pranzi di Natale con mio nonno al mandolino, miei zii tra bassi e chitarre ed io piccolino con il sorriso tipico dei bambini in un misto di timidezza e stupore per quello che effettivamente le loro dita riuscivano a fare e, soprattutto, per il sovraccarico di sensazioni che riuscivano a creare in me in quel determinato momento

Il primo impatto “teorico e pratico” invece è stato a 10 anni quando ho iniziato a studiare violino. A 16 ho iniziato a strimpellare con le band. Ho smesso definitivamente di suonare verso i 21 ma mi mancava qualcosa. Solo anni dopo, per la prima volta in assoluto, presi una chitarra in mano decidendo da subito di utilizzarla solo come mezzo per la manipolazione del suono.

Il passaggio da una piccolissima realtà come quella di Nuoro all’Europa poi è stato estremamente graduale.

Ricordi gli ascolti che ti hanno fatto prendere questa difficile strada nella musica?

Si, una cassetta dei The Cure inserita nel walkman quando ero molto piccolo, ricordo John Coltrane in camera che suona la sua “Acknowledgement” come un matto. E la tristezza nella certezza che sarebbe stato impossibile vederlo dal vivo, così come vedere Zappa e Hendrix.

Rido da solo ricordando che tutto il vicinato ha ascoltato con me “White Pony” dei Deftones, dati i volumi da denuncia, i NIN, “Destroy Erase Improve” dei Meshuggah e “Arise” dei Sepultura, “Lift You Skinny Fist Like Antennas to Heaven” dei Godspeed You! Black Emperor e “Agaetis” dei Sigur Ros, gli Slint, i My Bloody Valentine.

Ricordo una compilation tripla di Arezzo Wave che comprai solo ed esclusivamente per sentire un pezzo degli ZU, perché altrimenti sarebbe stato complessissimo per me, isolano, avere qualcosa loro da ascoltare.

Ricordo la prima volta che ho ascoltato “wb” e “karmika” degli Alzheimer e quando i giovani Inkarakùa asfaltarono i Linea77 al Molo Ichnusa nel lontano 2003. Ho ascoltato ed ascolto davvero tantissima musica, tutta diversa a seconda delle giornate.

Thank U for Smoking
TUFS, Pic by Nicola Olla

Il tuo primo gruppo che ho conosciuto sono i Thank U For Smoking. Raccontaci la tua esperienza.

L’esperienza con TUFS la valuto tanto bella quanto assurda.

Io avevo smesso di suonare in bands (definitivamente) da un paio d’anni. Aurora e Matteo invece si erano appena sciolti con la loro band dell’epoca. Tramite amicizie in comune ci siamo trovati in sala insieme. Erano i primi mesi del 2009. Io non avevo mai suonato la chitarra ma mi interessava il suono che potenzialmente avrei potuto tirarne fuori per cui ne assemblai una prima della prima prova. Una sorta di “Frankenstein” tipo “Stratocaster” (che è poi ancora la mia attuale che uso solo con i TUFS, quella rossa per intenderci).

Entrare nel circuito cagliaritano è stato complesso (ed ancora oggi non siamo la prima scelta di nessuno) però pian piano abbiamo iniziato a suonare in giro. Da subito abbiamo massacrato di richieste i posti di tutta la Sardegna e con quei soldi abbiamo prodotto il primo disco Dopo la Quiete ed il DVD filmato in Islanda, Island. Questo in collaborazione con la video factory Quadratino Pericoloso.

Dopo la quiete ci ha permesso di compiere il primo step.

Noi eravamo il nostro ufficio stampa, il nostro management, la nostra agenzia booking ed in qualche modo di quel disco se n’è parlato (abbastanza bene, aggiungo).

L’incontro con personalità musicali forti e l’apertura ad un paio progetti affermati ci ha fatto capire immediatamente che forse suonare solo in Sardegna non sarebbe stata la miglior soluzione per un futuro duraturo. Quella scintilla ci ha fatto macinare cinque tour italiani in nove mesi, segno che, in qualche modo, la nostra musica era stata ben recepita altrove.

Incidere YOMI per noi è stato tanto naturale quanto necessario. Intanto si organizzava il tour a supporto e, complice l’aiuto di tante persone incontrate nei tour italiani, ci siamo ritrovati con date in Italia, Slovenia, Ungheria, Austria, Svizzera, Germania.

Il tour europeo di YOMI è stato decisivo in quanto ci ritrovammo ad affrontare da subito tutti i “problemi” di cui parlavano molti: il van che si ferma e quindi vagare a piedi senza meta in cerca di aiuto, notte in commissariato e relativo divieto di rientrare in Germania per un anno per il nostro amico driver Mirko, notti insonni, multe di ogni tipo ed in ogni paese. Il tutto però contrapposto a concerti in posti bellissimi, pubblico attento e con orecchie aperte e, cosa più importante, la voglia di ripartire al più presto appena tornati a casa.

Poi YOMI venne eletto uno dei dischi più belli usciti nel 2014 per la comunità post rock metal internazionale, ma questa è un’altra storia.

TUFS hanno all’attivo tre album tra i quali, appunto, Yomi, di cui sopra, che è stato edito anche dall’etichetta belga Dunk!Records specializzata in post-rock/metal e affini. Com’è nata la collaborazione con Dunk!?

Il tutto è iniziato con l’invito per TUFS al Dunk!Festival, festival internazionale di post-rock ed affini: quell’anno siamo stati gli unici italiani (spulciando la storia del fest, prima di noi solo Ufomammut, Lento ed Ornaments: ed io vengo da Nuoro, capiamoci). Il Dunk! è così bello e funzionale che il giorno dopo ti sembra realmente di aver messo una “bandierina” lungo il tuo percorso (personale e come band), una rarità insomma. Ricordo che ci annunciarono insieme ai 65daysofstatic, che avevo già conosciuto di supporto ai Cure in un concerto a Roma un decennio prima, pensa te il caso.

Tornando a noi, la prima stampa di YOMI era sold-out da diversi mesi e rischiavamo di partire in tour europeo con solo magliette, spille e qualche copia del precedente Dopo la Quiete. Sarebbe stato stupido partire senza YOMI anche perché in quel tour avremmo suonato in un altro bel festival di nome We Are a Young Team, in Francia, che vedeva nella line up pilastri del genere come This Will Destroy You, Russian Circles, Jakob e altri.

Wout (Lievens, nda) di Dunk!Records si è reso subito disponibile ad una riedizione, ed insieme abbiamo dato nuova luce ad un disco che già ci aveva dato enormi soddisfazioni. YOMI ha definito realmente il suono TUFS ed anche l’intenzione stessa a livello musicale, senza contare il sax di Luca T. Mai nel pezzo π che considero un valore aggiunto al tutto. Proprio quel sax degli stessi Zu di cui cercavo disperatamente i dischi quando ero ragazzino.

Data l’esperienza dei TUFS in tour anche fuori dai confini regionali e nazionali, cosa consigli alle band e agli artisti che vogliono affacciarsi fuori dal ristretto cerchio del proprio territorio?

Questa domanda mi si pone parecchie volte a settimana ed ancora non so bene come impostare una risposta.

Con onestà, noi TUFS non siamo mai stati troppo recepiti all’interno dei confini regionali. Mai fatto parte di un movimento definito, mai avuto “hype”, mai avuto la tipica fortuna di chi conosce talmente tanta gente che fa duecento persone a concerto anche suonando male, banalità.

La “fame” e la voglia di condividere con altre orecchie il nostro suono ci ha davvero spinto oltre ogni limite (personale e territoriale). Capire che “like” e visualizzazioni funzionano relativamente e che invece “tu – band che sudi realmente e che fai concerti senza pause – devi andare nei posti fisicamente!” probabilmente ci ha spronato a prendere tutte quelle navi.

Dopo qualche anno posso ammettere di essere orgoglioso di quello che è stato il nostro percorso finora, realmente privo di compromessi.

Thank U For Smoking - We Are a Young Team Festival
TUSF al We Are Young Team Festival, Francia

Progetti con i TUFS?

Con i TUFS abbiamo da poco ultimato il tour a supporto della collaborazione con il canadese thisquietarmy, uscito come split in solo vinile per la romana Subsound Records. Abbiamo suonato assieme in 8 paesi europei e fatto anche un bel tour italiano. Ora siamo tutti d’accordo che sia arrivato il momento di sistemare il nuovo materiale e stenderne altro per fare un nuovo disco.

Non conosco bene i tempi ma, dopo molti anni, sembra che la voglia di suonare insieme non si sia ancora esaurita e tanto mi basta per capire che sia arrivato il momento di una nuova produzione. In soldoni significa che ci fermeremo coi tour e che prenderemo solo date selezionate, se ne varrà la pena.

Certo avere tante band in contemporanea può essere complesso ma sicuramente non ti mancheranno gli stimoli. Mi coinvolge l’energia dei Charun. Raccontami Stige.

Più che altro è complesso avere tutti progetti che in qualche modo devono girare, quello si.
Ricordo le registrazioni di Stige come un mio personale periodo di delirio in cui il caldo non aveva aiutato minimamente.

Caronte (il ciclone di luglio 2015 venne chiamato così dai meteorologi, che ironia) picchiava fortissimo, facendo salire il termometro in sala oltre i 30°, non proprio il massimo per registrare un disco, ma tra una pizza e l’altra siam riusciti a terminare quello che è stato il primo disco come band.

Stige mi pare fosse venuto bene; dico “fosse” perché non l’ho mai più ascoltato dopo il master finale. Adesso mi sto godendo il nuovo disco Mundus Cereris, indubbiamente più ragionato di Stige e dinamicamente più elaborato.

CHARUN - Fabrizio Ara
Charun, Pic by Fabrizio Ara

Con loro quali sono invece i piani? Trovo interessante anche l’immagine del gruppo e il sito davvero fatto bene. Aspetto il prossimo disco e di vedervi live.

Siamo proprio quattro bei ragazzi eh? Scherzi a parte, Mundus Cereris uscirà a fine Febbraio su Third I Rex, etichetta con sede in UK molto attiva in campo estremo ma che si permette anche divagazioni in ambito post rock, tutta roba di prima qualità. Lavorano davvero molto bene e mi sembra che ogni band riceva lo stesso impegno e sforzo da parte della label, si vede che questa crede in ogni singola uscita e questo non può che essere un punto di forza.

Ogni elemento del disco è stato curato nel dettaglio e la grafica di Andrea “Waarp” Marcias così come il mastering di James Plotkin hanno elevato il lavoro. Il piano di Stefano Guzzetti poi gli ha donato quel “quid” in più. Come sempre proveremo a suonare fuori dai confini regionali, così come avvenuto con Stige. Vedremo con quale frequenza ovviamente, dato che tutti i membri dei Charun sono attivi in altri progetti abbastanza impegnativi.

Alla fine però siamo qua per parlare dell’evento di Scott Kelly e John Judkins dove sarai di supporto con il tuo progetto solista, S A R R A M. Che effetto fa dividere il palco con un musicista come Kelly che, credo, sia tra i tuoi punti di riferimento, essendo il fondatore di miti come Neurosis e Shrinebuilder? Fortuna che ci sono realtà come Doom Over Karalis e il Cueva Rock tra l’altro, no?

Negli anni ho avuto la fortuna di dividere il palco e spesso backstage, chiacchiere e birrette con alcune tra le persone e le bands che ho ascoltato di più nel tempo. Confrontarmi con qualcuno che ha visto molte più cose di me e che vive sicuramente una realtà differente dalla mia l’ho sempre vissuto come un momento di crescita personale che può anche donare nuova ispirazione o anche risolvere dei dubbi. Spesso si finisce anche a parlare della Sardegna perché per tutti rappresenta una meta particolare, anche se non ci sono mai stati. Ad un certo punto esce sempre una frase tipo “Anyway, I don’t think that you’re italian!”, perché chi gira tanto questo lo coglie. Scoprii i Neurosis grazie al pezzo From the Hill inserito da un amico in una cassettina, mi pare fosse appena uscito A Sun That Never Sets, 2001?

Si, esatto, 2001!

Ricordo che passai giorni a cantare solo “Frooooooomtheeeeeehiiiiiiiill – I’vebeenwatchiiiiiing – steeeaaaliiiiingtheeeeeliiiiiiiiiiiiiiight”, era tutto talmente denso, profondo e disperato che probabilmente l’avrebbero potuto ripetere all’infinito per quel che mi riguardava. Il Cueva negli anni si è imposto come il miglior live club in Sardegna e può competere senza problemi con molti posti rinomati in Italia; c’è uno staff competente ed attento alle esigenze degli artisti, un suono invidiabile, senza contare i due palchi più l’outdoor estivo che la rende l’unica struttura attiva 12 mesi l’anno.

Doom Over Karalis sono autentici appassionati e sono riusciti a creare un appuntamento annuale seguito anche dall’estero. Parlare di festival in Sardegna a cadenza annuale senza fondi esterni la vedo sempre come una bella sfida visti i costi dei biglietti navali e aerei, qui si parla di “doom” e derivati, nessun tipo di hype insomma. Per cui massimo rispetto per il DOK. E rispetto per chi in generale, spesso con difficoltà, organizza eventi senza aver alcun tipo di certezza, e questo va al di là del genere o dei gusti personali ovviamente.

Doom Over Karalis e Cueva Rock certamente, ma le realtà isolane sono tante e di buona, a volte ottima o eccellente qualità. Come band, come locali, organizzatori e festival. Sei d’accordo o sono io che ho una visione troppo positiva e ottimista?

Sinceramente vedo la situazione attuale in Sardegna come il periodo più nero da almeno 15 anni a questa parte. Si vede politicamente, l’isola ne ha risentito economicamente e ci sono così tanti trentenni a spasso che sentirmi dire “Eh cavolo, tu te ne freghi, eri in tour!” (ed io penso “eja, bello, ma faccio 400 km al giorno in un van del dopoguerra”) mi fa sentire a tratti una persona quasi fortunata. I gruppi validi non sono mai mancati, idem organizzazioni competenti.

I locali sono un capitolo a parte e credo che, soprattutto quest’anno, stiano mancando tantissimo i posti per le sonorità purtroppo etichettate come “diverse” (sonorità come le mie, per intenderci). Le figure di spillatore di birra e direttore artistico – in Sardegna – si fondono troppo spesso in un’unica entità ed altrettanto spesso influiscono negativamente sull’andamento artistico di progetti di musica originale non derivativa. Credo che non sia ancora troppo sviluppata quella visione a 360° che rende un posto non solo luogo di ritrovo e di confronto, ma anche spazio culturale.

S A R R A M
Pic by Stefano Obino

Non ci resta che parlare di S A R R A M. “A bolu, in C” di certo non è un disco semplice, ci vuole un certo impegno, o meglio, bisogna soffermarsi per coglierne la bellezza. Qual’è l’urgenza, il fuoco, che te lo ha suggerito?

Da anni avevo in mente un progetto privo di barriere e che mi consentisse un reale flusso di coscienza sonoro, che potessi suonare a diversi volumi ed in diverse situazioni, che potesse essere realmente influenzato dal luogo in cui sarebbe stato suonato al momento: alla fine l’ho fatto. A bolu, in C è una improvvisazione reale, solo che avevo già tutto in testa a livello effettistico.

In live non suona mai uguale e non è mai lo stesso pezzo. Nicola di Blacktooth Collective l’ha mixato a dovere e sicuramente Claudio Spanu di Nubi Film gli ha donato i movimenti visivi giusti.

Mi incuriosisce vedere questo lavoro su Talk About Records. Ne son felice, vedo un’apertura davvero ampia nelle sue scelte, dal blues, al rock, allo stoner fino ad arrivare al rap di Donnie e al drone/ambient rarefatto di S A R R A M. Quando siete entrati in contatto? Quali sono le idee che avete messo sul piatto?

Con Diego (Pani, nda) ci siamo conosciuti intorno al 2003. Lui suonava punk-rock, io crossover. Lui è di Santu Lussurgiu, io di Nuoro. In quel periodo tutto si tirava su dal nulla e nel nulla, con dei sacrifici immani. Negli anni abbiamo continuato a confrontarci a tutti i livelli e siam cresciuti artisticamente in modo quasi parallelo.

Malgrado le nostre bands continuino a non avere nulla in comune a livello musicale, noi continuiamo a muoverci allo stesso modo perché il Do It Yourself, quando sei cresciuto in luoghi in cui effettivamente non c’è nulla, assume un significato reale e tangibile.

Riguardo S A R R A M mi è bastato spiegare a Diego il progetto e il mio desiderio di pubblicare con una realtà sarda più vicina possibile alla mia Barbagia. Gli ho parlato del lavoro fotografico di Bobore Frau e delle dieci foto, dell’idea del packaging particolare, di rendere ogni copia realmente unica, e del fatto che ci sarebbero state delle date europee in cui presentare il disco.

Non ricordo se mi abbia detto “Si!” prima di ascoltare il lavoro ma comunque l’abbiamo fatto, non siamo grandi chiacchieroni quando c’è da produrre.

S A R R A M - Karel Music Expo- Emiliano Cocco
S A R R A M, pic by Emiliano Cocco

Quindi, cosa vede Valerio Marras nel suo futuro? E nel futuro della musica nell’Isola?

Più che vedere, spero di sentire delle note per molto tempo perché il giorno che non le sentirò più, mi esaurirò. Spero di riuscire ad andare oltre i paesi europei in cui mi sono già esibito e di vedere nuovi posti.

Spero di poter conoscere ancora più realtà differenti da quella in cui sono cresciuto ed in cui vivo, di vedere il tutto tramite prospettive ancora più differenti e spero di poter, prima o poi, utilizzare l’esperienza accumulata per aiutare a sviluppare quello che considero il potenziale sprecato o inespresso della mia terra.
Riguardo l’Isola, mi sembra che stiano nascendo sempre più progetti interessanti con anche le possibilità di uscire fuori con continuità. Tempo al tempo ovviamente.

Ti ringrazio per questa intervista Valerio, ci vediamo il 19 al Cueva!

Grazie a te Daniele, a venerdì allora!