Twisted Wires – Die Dunkle Seite

Luigi BuccuduMusica, Recensioni

Se una colonna sonora fosse richiesta a questa parentesi delle nostre vite, Twisted Wires sarebbe un candidato ideale ad assolvere il compito.

è il nuovo progetto del prolifico producer algherese , noto anche con lo pseudonimo di Dj Datch. Nell’opera, data alle stampe sotto l’etichetta nel mese di gennaio, i territori che vengono battuti sono per lo più sul versante dark ambient, con echi industrial noise e solide fondamenta drone. Parte importante della genesi di è, infatti, l’utilizzo dei [D]ronin, strumenti artigianali prodotti dal senorbiese Massimo Olla, figura di rilievo della scena post-industrial nazionale. 

L’aspetto sperimentale del concept, però, è al servizio di un’introspezione dichiarata, una autoanalisi volta a un meno esplicitato processo curativo. L’esigenza di riporre il totale stravolgimento delle nostre abitudini in uno schedario razionale e gestibile, è assecondata in maniera quasi automatica, attuando un distacco dalle emozioni primarie, necessario, ma non per questo innocuo e privo di danni a lungo termine.

Il canovaccio è ricavato dai titoli dei brani di “Bleach”, l’album d’esordio dei Nirvana. Citazione, sì, ma principalmente spunto narrativo su cui poggiarsi per dipanare il messaggio del concept. E non è un caso che l’inizio di tutto si abbia con il soffio di Blew, che definisce dall’avvio l’ambientazione con la quale si deve fare i conti: un pulsare oscuro costruito su un profondo bordone che relega all’istante il pensiero nelle stanze dell’angoscia.

Ma una volta fissato il punto di partenza, l’album si rivela, a sorpresa, un lento, complicato processo di inscalfibile ottimismo. Floyd the barber potrebbe essere la macro di una seduta dal barbiere, la volontà di affrontare il “fuori” rinchiudendosi dentro un’abitudine con il filo di un rasoio che sfiora ripetutamente il collo. Non una parola, ma gesti adusi e perciò rassicuranti, sebbene pericolosi. About a girl è un altro istante di normalità, che, come un cerbiatto, attraversa all’improvviso il cammino congelato balenando la possibilità di un contatto. E sulla stessa linea, anche la più industrial School consegna all’ascoltatore, tra rumori ed echi che risuonano nei corridoi, un oasi di quasi serenità.

Certo, si torna su impressioni molto più oscure come la ansiogena Love Buzz, la cupezza sotto vuoto spinto di Negative Creep o la destabilizzante Paper Cuts (interessante la suggestione che le news possano risultare dannose se non maneggiate con cura, come i tagli provocati dal bordo di un foglio di carta). Ma episodi illusori come Scoff o la socialità inquinata a cui si fa ritorno in Swap Meet, riportano comunque su un sentiero sempre più largo e agevole, fino alla radura e agli orizzonti aperti di Mr. Mustache, chiusura perfetta che sancisce la positività intrinseca dell’intera opera.

Tutto il contesto pandemico – e quindi l’angoscia stessa – diventa il rumore bianco che accompagna nelle scadenze quotidiane e negli impegni imprescindibili, unici baluardi che impediscono l’arrendersi all’incertezza. La claustrofobia diviene quindi distacco e astrazione, così che i condotti dentro ai quali si annaspa in cerca dell’uscita, possano sembrare solo un groviglio di cavi intricati visti dall’alto.

Twisted Wires è una crioterapia in attesa che il sole torni a scaldare. Un sonno emotivo dove si rimane razionalmente vigili, aspettando che la primavera rifiorisca e permetta una graduale e timida riappropriazione dell’ambiente esterno, come nel risveglio da un lungo letargo.