Time in Jazz 2023, il resoconto

Francesco Bustio DettoriLive report

La musica non è solo arte, ma anche una finissima forma di comunicazione: il jazz in particolare ha sviluppato nel tempo un linguaggio privo di chiudende, che permette a interpreti provenienti da collocazioni geografiche lontanissime di dialogare con strumenti diversi, scambiare emozioni, intessere linee melodiche talvolta imprevedibili. La parola d’ordine è “contaminazione”: il jazz, essendo una delle matrici originali della musica del ‘900, è riuscito a infiltrarsi fra le pieghe di diversi stili, facendosi a sua volta permeare da influenze multiformi, capaci di arricchire il vocabolario di un genere già ricco di lemmi complessi. Non esiste contaminazione senza accoglienza, e non è un caso quindi che le suggestioni che furono di Louis Armstrong e Miles Davis abbiano messo radici a , paese ospitale e aperto per eccellenza, nonché luogo natale di Paolo Fresu, trombettista di fama assoluta e deus ex machina del Festival, giunto oramai alla sua trentaseiesima edizione. Già durante la presentazione del festival (ne abbiamo parlato qui) è apparso subito chiaro come il Time in Jazz non sia un semplice evento musicale: il concetto appariva percepibile chiaramente nelle parole di Fresu, emozionato nell’introdurre per la prima volta la sua creatura nel luogo dove trova il suo epicentro, per l’appunto Berchidda, e grato nel ringraziare sia le istituzioni, che sostengono generosamente questo fiore all’occhiello della cultura in Sardegna, ma anche il lavoro dei numerosi volontari che ne permette la realizzazione. Con il tempo la rassegna si è allargata, diventando ricchezza per un territorio esteso, ma screziato di realtà storiche, archeologiche, culturali che compongono il paesaggio perfetto per un evento ormai entrato nei calendari di tutti gli appassionati, ma che mai ha perso il cordone ombelicale che lo lega al centro del Monte Acuto.

Time in Jazz 2023 ha un nome: Futura, una canzone concepita in mezz’ora circa da un Lucio Dalla particolarmente ispirato, mentre sedeva in una panchina accanto al celebre Checkpoint Charlie a pochi metri da un pensieroso Phil Collins. Futura è una composizione che parla di un amore contrastato fra due amanti separati dal muro di Berlino, un disperato bisogno di andare oltre le differenze per accogliere un diverso che in fin dei conti diverso non è, creando al contempo qualcosa di terzo e probabilmente migliore. Tutto ciò ispira i valori e le ispirazioni portanti di questa edizione dell’evento berchiddese.

Rusty Brass Band – Foto di Andrea Rotili

Il programma di questa edizione è particolarmente ricco: viene aperto dal sempre esuberante Tullio De Piscopo e impreziosito dalla voce di Malika Ayane in quello che ormai è un imprescindibile appuntamento dedicato a Fabrizio De André, nella suggestiva tenuta dell’Agnata. La giornata di venerdì 11 agosto si apre con le esibizioni dei Guerzoncellos nella Pineta di Sant’Anna a Budoni, del trio di Carolina Bubbico a Loiri Porto San Paolo, e di Federico Fenu nel Café Rosé di Berchidda per la prima serata del Festivalbar, progetto che porta il jazz nei principali locali del borgo. La Rusty Brass Band invece ha il compito di girovagare ogni giorno attraverso i vicoli del paese, intrattenendo abitanti e visitatori in un clima di festa un po’ folle: la loro verve ha la capacità di far smuovere persino il corpo umano più sedentario e aritmico possa esistere, grazie a uno spettacolo a dir poco trascinante. Ma è alle sette di sera che abbiamo la possibilità di assistere a Sa Casara (la casa del Festival) alla presentazione del libro La Cantadora da parte del suo autore Vanni Lai, il quale apre la rassegna Time To Read parlando del suo romanzo che descrive la avventurosa vita di Candida Mara, unica donna a sfidare gli uomini nel canto a chitarra: personaggio quasi mitologico, purtroppo rimasto nell’ombra troppo a lungo per colpa di un ambiente troppo maschilista.

Time to Read, Vanni Lai – Foto di Andrea Rotili

Il piatto forte viene servito come ogni sera in Piazza del Popolo a Berchidda. PopOFF è un viaggio incredibile in quelle che sono probabilmente fra le fondamenta più solide della canzone italiana: i brani dello Zecchino d’Oro. Paolo Fresu ha voluto dedicare questo live set a Bologna, per lui una città adottiva, storica sede del Teatro Antoniano, dove appunto si svolge la celebre manifestazione canora dedicata ai più piccini. Il gioco dei ricorsi storici porta dietro il microfono di questo progetto Cristina Zavalloni, figlia di quel Paolo Zavalloni che nella sua lunga carriera ha trovato il tempo anche per curare gli arrangiamenti proprio dello Zecchino d’Oro, nelle edizioni fra il 1989 e il 2001. Cristina viene accompagnata in questo viaggio indietro nel tempo dalla tromba di Paolo Fresu, da Cristiano Arcelli (sassofoni e clarinetto), Dino Rubino (pianoforte), Salvatore Maltana (contrabbasso) e dal Quartetto d’Archi Alborada. Il concerto è preceduto dal ricordo di Michela Murgia, importante scrittrice e intellettuale sarda purtroppo deceduta il giorno prima: un lungo e sentito applauso accompagna le parole di un commosso Paolo Fresu. Il tempo del ricordo sfuma nel tempo della musica: La Giostra del Carillon apre le danze, seguita dal Valzer del Moscerino e dalla Ninna Nanna del Chicco di Caffè. Ogni composizione è rivisitata in chiave jazz, creando un effetto straniante: la mente vaga in territori sorprendenti, guidata da suoni di tromba riverberati, scambi di assoli, cambi di tempo, digressioni pianistiche e numerose finezze difficili da descrivere quanto meravigliose da ascoltare. La voce di Cristina Zavalloni sa accarezzare e graffiare, la presenza scenica è votata a una espressiva teatralità che si riflette alla perfezione sul canto. Le canzoni, tutte famosissime e antecedenti al 1971, vengono sciorinate in un crescendo di successi: Il Caffè della Peppina, Volevo un Gatto nero, Il Pulcino Ballerino (voluta fortissimamente da Paolo Fresu), Lettera a Pinocchio. Unica concessione a tempi più moderni è Il Katalicammello, brano del 1997 dalle forti tematiche ambientaliste che viene declinato in stile partenopeo, per poi arrivare alle acclamate esecuzioni di Popoff e di 44 Gatti. Il pubblico entusiasta tributa ai musicisti una meritata standing ovation, giusto premio per un progetto originale e coraggioso, portato avanti con cuore e passione e che può essere un ponte agile da percorrere per introdurre orecchie meno esperte in territori jazzistici.

Il è la manifestazione che si insinua nella notte berchiddese a suon di note, dominata dal Nanni Gaias Trio assieme ad Alien Dee, i quali fanno ballare le persone accorse alla Piazzetta di Legno fino a tardi assieme a DJ Cris, con Paolo Fresu e gli altri musicisti a mescolarsi fra la gente accorsa per l’evento.

PopOFF – Foto di Andrea Rotili

La giornata di sabato è calda, ma il clima non blocca il festival: il Quartetto Alborada  e il trio di Nicola Stilo allietano chiunque si sia recato a Bortigiadas e Buddusò per sentire i live della mattinata. Durante la serata Fresu dialoga con Paolo Crepet a Sa Casara: l’argomento è l’ultima fatica letteraria dello psichiatra-scrittore, intitolata Prendetevi La Luna. Gli appuntamenti quotidiani con Federico Fenu e con i Rusty Brass fanno da aperitivo al main event della sera che si svolge con puntualità svizzera. Il set della pianista Sade Mangiaracina viene introdotto da Paolo Fresu, che ricorda inoltre il grande artista giapponese Ryuichi Sakamoto, scomparso di recente, autore del soundscape che precede ogni concerto berchiddese. Sul palco è presente solo un grande pianoforte a coda, nero: i neon colorati che caratterizzano il palco risaltano come non avevano fatto nella serata precedente. Sade Mangiaracina ha sulle spalle il peso di portare sul palco le composizioni di Lucio Dalla. La sua emozione nel farlo è palpabile, lei non fa nulla per nasconderlo e ne parla apertamente, ma la pianista gioca sapientemente sui tempi, espandendoli e dandosi respiro, donando a ogni cosa da lei suonata grazia e leggerezza: la sua elaborata riproposizione di Futura è la sigla del festival. Vita viene acclamata dal pubblico ma è Le Rondini, suonata assieme al canto di Dalla, che strappa qualche lacrima a chi sta seduto nelle sedie. Acclamatissimo risulterà l’ultimo brano, una interpretazione di Caruso molto fedele all’originale, impreziosita dal violino di Anton Berovski, collaboratore di lungo corso di Lucio Dalla e componente del Quartetto Alborada.

Sade Mangiaracina – Foto di Paolo Soriani

Il secondo set della serata è monopolizzato dall’Eivind Aarset Quartet: i suoni del chitarrista norvegese vengono supportati da una originale formazione che prevede due batterie, suonate da Wetle Holte e Erland Dahlen, e un basso, sottoposto alle cure di Audun Arlien. Il concerto si basa sugli ultimi lavori dell’artista, in particolare Phantasmagoria, or a Different Kind of Journey: durante tutti i brani lo sfondo del palco si dipinge di immagini paesaggistiche con al centro chiazze umanoidi di pura luce. Il sound tradisce la provenienza nordica dei musicisti e risulta avere richiami ad alcuni lavori di King Crimson, Mike Oldfield, Sigur Rós, ma sarebbe ingiusto non segnalare l’originalità e il lavoro di ricerca che si nasconde dietro le composizioni. Il quartetto dà vita a un live intenso, vivo, pulsante, denominato da una sezione ritmica granitica sulla quale Aarset è libero di pennellare suoni ultraterreni, capaci di evocare paesaggi rarefatti, mari in tempesta, tramonti infuocati. Il pubblico, che sarebbe potuto essere più numeroso dato il valore degli strumentisti sul palco e la qualità altissima dello spettacolo, appare profondamente rapito dallo show, e non manca di tributare un caloroso applauso finale con tanto di standing ovation.

Eivind Aarset Quartet – Foto di Andrea Rotili

Il Time After Time è sempre a cura del Nanni Gaias Trio, stavolta affiancati da Don Malo, seguiti da DJ Cris: in particolare l’esibizione del trio del musicista berchiddese appare trascinante e coinvolgente, e la risposta entusiasta del pubblico ne è la testimonianza migliore.

Ma ora è tardi e la notte si stende su Berchidda e sulla nostra esperienza di quest’anno al Time in Jazz: come prospettato da Fresu nel giorno della presentazione di Futura, non ci siamo ritrovati immersi in un semplice evento concertistico, quanto in un’esperienza totalizzante, dove un paese e un territorio si vestono a festa e accolgono i visitatori per diventare una comunità allargata, dedita alla ricerca del bello e dello stare assieme. Potrebbe sembrare semplice retorica, ma la verità è che ci si ritrova immersi in un festival inclusivo, dove sono importanti i seminari per i bambini (Time to Children), le visite ai luoghi che ospitano i concerti in luoghi di interesse storico o paesaggistico (Un’ora in più), l’attenzione alla sostenibilità ambientale (Time to Biorepack), il recupero di strumenti musicali inutilizzati per farne oggetto di dono a scuole o privati (Play it Again), le mostre fotografiche e le opere letterarie (Time to Read). In più la musica si insinua in ogni angolo del paese, riempiendolo di bellezza in ogni strada, ogni vicolo, ogni locale, fino ad arrivare alla centralissima Piazza del Popolo. Prima di andare via riconosciamo alcuni membri della band dei Guano Padano, che suoneranno nei pressi della chiesa di Nostra Signora di Coros a Tula domenica mattina. Uno di loro guarda il cielo e dice: “Certo che se ne vedono di stelle qui a Berchidda”. Un certo Paolo Conte direbbe che sono le stelle del jazz.