Film Original Soundtrack
2024 Spittle Records
La storia è quasi sempre scritta dai vincitori, da chi ha il controllo dei mezzi di comunicazione, dai padroni del vapore. È una frase fatta, di quelle che si trovano nei cioccolatini, ma che contiene una buona dose di verità, soprattutto quando ci si riferisce a culture subalterne, a movimenti che si ostinano a rimanere indipendenti, alle frange più imprevedibili e disadorne della nostra società, quella che un tempo veniva chiamata cultura underground. Se a questo si aggiunge il fisiologico isolamento di un mare che affascina e limita e persino di un atteggiamento di chiusura mentale, allora tutto diventa più difficile da governare. Davide Catinari, l’artefice di questa raccolta di materiali d’archivio che fa da colonna sonora a un docufilm che a breve dovrebbe girare anche da queste parti, conosce bene questa realtà. Conosce i meccanismi della creazione e della distruzione, ha imparato a convivere con i demoni dell’ispirazione e con la follia degli umani, sopra e sotto il palco, sempre in perenne bilico. Chi meglio di lui poteva raccontare le vicende del rock isolano e di quella strana sensazione di euforia che ha caratterizzato gli anni Ottanta del secolo che fu? Pochi altri e nessuno con quella conoscenza che arriva da una scelta di vita che non prevede altre distrazioni. Lui chiama questa situazione “beato isolamento” quasi a voler trovare una ragione per r/esistere ed evitare le trappole del lamento funebre che spesso accompagna queste terre e riportare alla luce emozioni e vibrazioni che meritano di essere raccontate.
Il periodo trattato è quello che va dal 1980 al 1989. Tanto tempo è passato e negli ultimi anni si è assistito a una valanga di studi, pubblicazioni editoriali, articoli dedicati, ristampe, dibattiti. Un periodo storico che ormai viene raccontato e studiato in modo quasi maniacale, un pullulare di volumi, di documenti sonori e visivi, corsi universitari, roba seria che male non fa. Ma in questa grande abbuffata di conoscenza la Sardegna è sempre rimasta ai margini, anche nei libri scritti dai nostri, da persone di indubbio rigore intellettuale, oltre ogni sospetto. Se si sfogliano le recenti pubblicazioni sull’argomento è come se la Sardegna non esistesse, non pervenuta, ancora una volta e sempre più al di sotto dell’underground. Proprio per questo il grande lavoro di archeologia culturale propugnato da Catinari assume un valore assoluto, apre ferite ancora aperte, rende onore a chi ha sempre creduto nel sacro fuoco della creatività, della ricerca, dello spirito anarchico che accompagna l’arte nelle sue manifestazioni meno banali e scontate. Senza dimenticare il gran supporto della Spittle Records il cui catalogo è ormai il vero porto sicuro in cui trova riparo la storia della musica indipendente italiana e di Oderso Rubini che di queste vicende è la scatola nera a cui fare riferimento.
Il vinile è suddiviso in due blocchi: Flipside (dal 1980 al 1985) e Hipside (dal 1985 al 1989) per un totale di tredici formazioni, una breve introduzione di Catinari e la busta interna con le foto delle band e l’elenco completo dei musicisti (un motivo in più per procurarsi questo manufatto).
Apre il disco The Look of Destiny un brano dei Crêpesuzette del 1982 nei quali militava proprio Davide Catinari, vero punto di riferimento della band. Brano maturo e quasi sprecato per le nostre latitudini. La band ebbe anche la fortuna di trovare ospitalità nella compilation Rockgarage Vol. 4 (poi ristampata sempre dalla Spittle in tempi recenti) con il brano Killing Japanese. Poi arrivarono i Dorian Gray e tante altre vicende che ben conosciamo.
Il brano successivo arriva dai Physique du role, una formazione molto vicina ai Crêpesuzette che aveva come frontman Massimo Antonucci. Avevano tutto per emergere, una bella presenza scenica, ottimi suoni e The Speechless Man del 1983 era una canzone che spaccava e si ascolta sempre con piacere (si trova anche su Youtube) anche grazie al sax di Massimo Cappai che aggiunge un tocco di imprevedibilità.
I Polarphoto erano un trio con Stefano Pirisi, Roberto Musanti e Giampaolo Paoli e di loro si sa veramente poco. The Doll è elettronica fredda e distopica che sembra arrivare dalla zona industriale di Sheffield e invece è roba nostra e risale addirittura al 1982 a testimonianza che i ragazzi avevano le orecchie ben dritte.
I Démodé sono una vera sorpresa. Make Up vive di sussulti ritmici di stampo no-wave, post-tribalismo che ancora oggi farebbe furore e non sembra vero che quel brano sia stato composto e registrato nel lontano 1980 con la voce di Roberto Podda che si avvicina pericolosamente a certe cose dei Suicide.
I Weltanschauung con All the Fancies propongono un brano abbastanza tradizionale risalente al 1984, suoni che rimandano alla new wave di quegli anni e pochissime notizie sulla band.
Il lato A si chiude con My Only Fight degli Ici on va faire nei quali militava anche Maurizio Corda che avremmo ritrovato tempo dopo nella bella avventura dei Mucca Macca. Pop evoluto di ottima fattura che strizza l’occhio a roba tipo Talk Talk e ai gruppi della Creation Records.
Il lato B ci trasporta alla seconda metà del decennio che si apre con La Porta dei Rosadelleceneri formazione tra le più oscure del mucchio. Riferimenti palesi a gruppi come Killing Joke e Bauhaus e un sound tra i più strutturati della scena. In formazione troviamo Roberto Belli che poi si dedicherà a tempo (quasi) pieno alle derive industrial (leggi Machina Amniotica) e alla goduria che arriva dalla manipolazione delle parole. Faceva parte della band anche Eugenio Cocco (già presente anche nelle Crêpesuzette) che purtroppo non è più di questo pianeta; Gigi Sanna alla batteria (una delle tante) e Gigi Moi che forniva quel nevrotico pattern di chitarre (che oggi forse avremmo chiamato shoegaze).
I Vapore 36 ce li ricordiamo bene. Pop di grana fine che rimanda direttamente a lontane suggestioni scozzesi e che non avevano niente da invidiare alle band di quell’isola che tanto ci ispira. Ma sempre di isole si parla e loro erano perfetti creatori di melodie, di intrecci vocali sopraffini e tra i pochi ad aver lasciato delle tracce discografiche (Foe nel 1986 è da recuperare senza indugi). Perfetti in un mondo imperfetto.
Degli Anonimia viene ripescato il brano Domani e siamo subito in quel sogno realizzato che veniva chiamato “rock cantato in italiano” che aveva trovato gloria nelle rive dell’Arno. La cosa funziona, il brano scivola bene e le parole rilasciano significati che altrimenti non avremmo colto. Tra le cose migliori della selezione.
Agorà è ancora dark culture nella sua forma più primigenia e imperfetta. Il cantato in italiano funziona e la voce di Corrado Altieri (prima della svolta industrial e post-industrial) ha la giusta pasta per questo genere di proposte. Tanti concerti e persino un mini LP pubblicato nel 1990 a futura memoria.
Autosuggestion ci trasporta in modalità minimal punk senza troppi fronzoli. Impulsi elettrici fuori controllo e un brano come Raving Mad che sembra il manifesto di una predisposizione al nichilismo senza scampo.
I Quartz hanno avuto una lunga e gloriosa storia che parte da Padru più o meno nel 1985 e dura per diversi anni seminando qualche traccia discografica da recuperare. Una delle formazioni che ha meglio interpretato e capito quello che succedeva oltre cortina fino a diventare un punto di riferimento per il rock indipendente isolano nella sua variante nordica.
Si chiude bottega con Attonito un brano dei Maniumane che rientra alla perfezione nei ranghi del rock indipendente che si ascoltava in quei lontani anni con una forte assonanza ai primi Diaframma.
Dopo aver ascoltato queste schegge di dolce follia situazionista rimane un forte senso di stupore e straniamento e si percepisce meglio il senso di Missing Boys. Provate a cercare notizie di questa scena su Internet o su altri mezzi di comunicazione e vi troverete (salvo pochi casi) in un buco nero, in un vuoto cosmico persino difficile da spiegare. Un vuoto che andava come minimo ripopolato e rivissuto e bene ha fatto Davide a ridare voce e forma a queste esperienze. Le culture subalterne hanno bisogno di cure attente e tanta fatica per evitare che finiscano nell’oblio e farlo con la giusta distanza aiuta a non cadere nella trappola del vittimismo e della nostalgia canaglia. Rimane comunque una certa soddisfazione nel verificare a distanza di anni che anche quest’isola, così lontana dal glamour del rock che conta, abbia avuto i suoi eroi nel vento che non erano così distanti da quelli delle periferie di Londra o dalle gelide atmosfere di Manchester. Come dice Catinari: “una stagione vibrante e senza compromessi, come tutto quello che non si riconosce in un prodotto industriale e mantiene uno spirito indipendente”.
In chiusura credo sia giusto rimarcare che questa compilation è solo uno spaccato di un mondo che era più complesso ma anche più sfuggente e difficile da definire oltre alla quasi totale mancanza di figure femminili per motivi storici e culturali che conosciamo bene. Sono loro le reali Missing Girls la cui voce è ancora più lontana e dispersa. Quelle “ombre di fragilità” di cui parlano i Durutti Column in un brano risalente al 1981 intitolato guarda caso The Missing Boy.