Tape and Polaroids – Emiliano Melis

Luca GarauMusica, Recensioni

Il music designer è l’artista che lavora su musiche già registrate, selezionando pezzi strumentali destinati a comporre un tappeto sonoro che risponda a requisiti ben precisi: una certa e originale atmosfera che si adatti all’ambiente selezionato in quel preciso momento della giornata e della stagione.

Emiliano Melis si definisce “experimental music designer e composer”. Se l’ordine delle definizioni non è casuale, tradisce la sua vocazione “scenografica” a dispetto di quella compositiva, come nell’ultimo Tape and Polaroids, riuscito esempio, a tutto tondo, delle sue peculiarità. Già dalla scelta del nome, capace di evocare sia il fruscio del nastro che le romantiche sfocature e la classica sovraesposizione del famoso formato fotografico quadrato, passando per l’artwork di copertina che raffigura quelle suggestioni, fino, in conclusione, ad arrivare al disco.

Il talento che emerge è quello didascalico, che si traduce negli scenari raffigurati attraverso la tavolozza di suoni di cui dispone. Le tecniche sono quelle che ci si aspetta: utilizzo certosino di synth, oscillatori, arpeggiatori, drum machine, e cesellatura di ritardi e riverberazioni per uniformare la pasta sonora.

Non sono, però, da meno le doti compositive e il gusto musicale dell’autore, che si rivela capace di rispettare i canoni ormai codificati del genere – da Music for Airports in poi – e di modellare i suoni nel solco dell’elettronica contemporanea e delle sue declinazioni più gourmet. Va riconosciuto a il merito di contribuire alla destrutturalizzazione dell’immaginario collettivo dell’ambient contemporaneo. Perché, a tutti gli effetti, è un disco che rivendica i suoi spazi, senza fermarsi alle distese islandesi e ai mari autunnali, ma, complice forse la grande mela dove Melis risiede, racconta di paesaggi urbani e abitati, fatti di persone e interconnessioni umane.

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