Talkin’ Blues – Intervista a Gavino Riva

Simone MurruInterviste

Gavino Riva, sassarese classe 1955, è di sicuro uno tra i musicisti più longevi e continui in giro per la Sardegna. Istrionico e nomade, non gli piace dimorare su un solo genere o un unico ambiente artistico, per quanto il blues non sembri poi lasciarlo mai. Ha calcato il palco di Sanremo Rock con gli Amanita nel 2001 e, nel 1987, con i Metrò (Tore Mannu, Battista Giordano, Massimo Carboni, Sebastiano Pacifico, Giovanni Agostino Frassetto) ha vinto il primo premio al Sant’Anna Arresi jazz festival. Nello stesso anno la band ha pubblicato “Presage“, primo esempio di jazz rock con forti influenze musicali sarde, che li porterà sul palco con Billy Cobham al Teatro Verdi di Sassari. Il suo cammino musicale è proseguito con , con i Dislocation Blues, tra i tanti. Oggi veste soprattutto l’abito da cantautore ed è il bassista e corista di , al quale ha prestato la voce per il disco appena uscito “From the living room“.

Ci incontriamo a Sassari, tra i tavoli dell’Abetone, dove la bella musica mette assieme le persone e le fa viaggiare, altre volte le fa ballare tra il buon ascolto, la festa e la fresca birra. Sulle note dei blues di Howlin’ Wolf, tra il fumo di sigarette e un bicchiere, iniziamo la nostra chiacchierata.

Ciao Gavino e grazie di averci concesso quest’intervista. Iniziamo dalle origini: quando sei entrato in contatto con la musica la prima volta?

L’episodio si perde nella notte dei tempi. Avevo forse tre anni e, per farmi mangiare la pappa, mi prendevano in braccio, mettevano su della musica, quella dei primi anni cinquanta con forti influenze jazz, swing e blues.

Quali sono i tuoi riferimenti musicali di sempre? Quelli a cui ti appoggi per inclinazione e gusto? 

Mi reputo un musicista senza fissa dimora e non ho mai avuto un unico modello. Sono estremamente curioso e mi piace ascoltare di tutto, di più ciò che non suono abitualmente: un ambiente musicale nuovo mi stimola sempre perché la musica stessa è per me un linguaggio in divenire.

La tua prima esperienza discografica in solo è “”, del 2008. Un esordio “tardivo”, considerando che sei uno dei decani della scena sassarese e sarda. Ci racconti la storia che ha dietro?

Canzoni dal basso” è nato quando lavoravo con un piccolo camion per una ditta edile: andavo su e giù per cantieri, a volte caricavo dei detriti in qualche modo definibili “sonori”.

Mi è venuta l’idea di dare una nuova vita a questi oggetti. Con l’aiuto di un registratore a  quattro piste che avevo a casa,  la sera accendevo il microfono e iniziavo a suonare. I testi sono venuti fuori quasi allo stesso modo, cioè dalle note del taccuino che usavo per segnare il materiale alla voce “acquisti” e più che delle storie li potrei definire un insieme di considerazioni.

Poi hai inciso nel 2022 il tuo secondo disco, “Le mappe del cielo”, come se avessi spiccato un volo. Come si racconta e come si lega al primo lavoro?

Le mappe del cielo” contiene alcune tracce che sono rimaste fuori dal disco precedente. Il titolo vuole raccontare ciò che ha caratterizzato i miei anni settanta: fatti e storie di persone speciali, intrecciate come i fili dei tappeti sardi, metaforicamente tracciate su mappe e sentieri come sono le vie dei popoli nomadi del deserto.

A distanza di tanti anni dagli esordi ti stai occupando di qualche nuovo progetto? Hai qualcosa in lavorazione?

Vi posso solo anticipare che è basato su un racconto di un fatto realmente accaduto: l’incredibile viaggio di un animale partito dalla nostra isola. La storia potrebbe suggerire un film, le musiche sono a buon punto.

Mentre aspettiamo il tuo prossimo lavoro, come racconteresti la scena musicale di Sassari, la tua città? Dall’esterno sembra mantenersi in un buono stato di salute per il numero di progetti e contesti.

In realtà non è facile trovare spazi dove poter eseguire la propria musica, i gestori danno maggiore spazio alla musica di intrattenimento, ad esempio cover band, tribute band. Questa non è una critica verso di loro ma non vedo un circuito adatto ad ospitare musica originale che per sua natura pretende un’attenzione maggiore da parte del pubblico e un ambiente dedicato.

Come vedi il futuro della musica e della sua scena?

Partendo dal fatto che la gente non può vivere senza musica ho comunque  paura che il suo circuito possa fare la fine del cibo consegnato a domicilio, la cui conseguenza è che non si cucina più, non si esce di casa e si rimane circondati solo dalle proprie sicurezze, rinunciando agli inaspettati incontri che offre la vita vissuta ad esempio per strada e sotto un  palco.

Parlando più precisamente di blues, sei da tanti al fianco di Francesco Piu tra concerti e produzioni discografiche, cosa contraddistingue il vostro sodalizio artistico?

Il rapporto con lui è nato quando io suonavo con gli Amanita circa nel 2011, alla voce c’era quel talento naturale di Samuele Marchisio che purtroppo ci ha lasciato da poco. Francesco ha sempre seguito i nostri live e qualche tempo dopo mi ha voluto per suonare nel suo progetto. L’intesa sin dall’inizio è stata forte e oggi possiamo dire di essere ancora sul pezzo con la stessa energia. 

Come descriveresti lo stato del blues in questo momento in Sardegna?

Mi piacciono le nuove vie tracciate attraverso le contaminazioni con altri stili e generi, come i progetti di e . Oltre le produzioni dei musicisti resiste nel tempo uno zoccolo duro di festival internazionali dedicati alla musica del diavolo. A questi si aggiunge il circuito indipendente che sostiene la programmazione di club e teatri. La scena è viva.

Hai qualche consiglio per i lettori di Sa Scena?

Non consiglio musicisti o band ma consiglio un approccio all’ascolto: siate curiosi e mai settoriali. Oggi in rete e in giro si trova veramente di tutto, bisogna quindi avere pazienza e passione e non porsi limiti nell’ascolto e nello studio.

Salute e saluti a tutti i lettori di Sa Scena.