Anteprima del Karel Music Expò, al Fabrik, con il chitarrista dei Mogwai e, in apertura, Perry Frank
Di Simone La Croce, foto di Daniele Fadda
Il rammarico per la defezione dello scorso anno era ancora vivo quando Stuart Braithwaite è stato annunciato per l’edizione del 2019 del Karel Music Expò. Gli auspici verso uno dei chitarristi più influenti, e non solo per il post rock, degli ultimi vent’anni non erano certo da meno. Nonostante l’attesa il Fabrik non ha registrato il pienone: i fan sono arrivati alla spicciolata, disorientati e in ritardo, senza sapere bene cosa aspettarsi davvero.
Ad attenderli, con basco e calze a strisce colorate, hanno trovato Perry Frank, poliedrico musicista ambient sulcitano. Sul palco un tappeto di effetti sui quali si muoveva lentamente e con grande sicurezza, e dalle casse suoni dilatati a delineare soundscape avvolgenti e scenari distanti. Le sue stratificazioni sonore sembravano mal coniugarsi con l’atmosfera metallica del locale, ma lui, noncurante di ciò e completamente immerso nella sua musica, ha comunque offerto a un pubblico assorto una bella parentesi sonora fino all’attrazione principale della serata.
Braithwaite, come un esordiente qualsiasi, accompagnato unicamente dalla sua Jazzmaster, ha preso posto sullo sgabello; ai suoi piedi nessun pedale, niente. È quando ha iniziato a suonare che ha reso evidenti le sue vere intenzioni: spogliarsi di tutte le sovrastrutture che hanno portato il suo gruppo a scrivere alcune della pagine più belle del dopo grunge, con chitarra pulita, accordi semplici e pezzi essenziali. Compito non facile, visto che è proprio grazie al lavoro fatto sul suono – da lui in particolare – e su come questo potesse farsi veicolo emozionale, che i lavori più grandiosi dei Mogwai hanno fatto presa su un pubblico spaesato e orfano dell’abbraccio seducente e narcotico degli anni novanta.
Con riverenza ha provato a riprendere quelle canzoni per ricondurle là dove erano nate, alla loro essenza primaria. Nessun feedback, poche digressioni, giusto qualche arpeggio e tanta calma serafica, con l’atteggiamento remissivo di chi sa di esporsi a qualcosa che non è pienamente nelle sue corde. Ma quell’attitudine, i suoi tanti emozionati “Grazie mille” alla fine di ogni pezzo, la voce incerta di chi non è avvezzo al canto mostravano sincerità. Niente di diverso da quello che è parso voler sempre comunicare. E la sua onestà in alcuni casi, come da copione, ha pagato, con esecuzioni sofferte e suggestive, specie sui vecchi brani dei Mogwai. Ma prosciugare molti di quei pezzi si è rivelato oggettivamente arduo, anche per lui.
Il concerto è volato via in poco più di un’ora, tra vecchi brani della band scozzese, qualche cover e alcuni inediti. Tutto molto rapido e indolore. A qualcuno in sala è restato l’amaro in bocca, ma anche la sensazione di aver assistito a un’esibizione sentita, schietta e autentica, cosa sempre molto rara.
Il Karel Music Expò apre comunque dignitosamente i battenti e rimanda tutti al weekend clou della manifestazione, con un cartellone tra i migliori degli ultimi anni, che vedrà avvicendarsi, tra i tanti e vari artisti coinvolti, nomi di spessore come Julie’s Haircut, C’mon Tigre e The Winstons.