Il live report della due giorni del festival al Cueva Rock
Di Luca Garau & Simone La Croce, foto di Emanuela Giurano
Le comunità sono organismi viventi e come tali nascono, crescono, cambiano, evolvono. E risentono degli accadimenti che scuotono il contesto storico e sociale in cui la loro vita si dipana. Per lo Strikedown Fest, giunto alla sua terza edizione, è avvenuta la stessa cosa. Il mondo, questo mondo grande e terribile, è riuscito a scuotere una comunità solida e solidale come è quella dell’hardcore isolano.
Nella settimana che ha preceduto l’evento, come un bollettino di guerra, venivano pubblicate defezioni e modifiche alla line up, causate dall’esplosione e diffusione del CoVid2019. Ma la comunità ha saputo reagire e adattarsi, forte del legame e dello spirito solidaristico che la contraddistingue. Ghostdown Booking, l’agenzia che ha organizzato il festival fino alla scorsa edizione, ha modificato il nome in Strikedown Collective: “Lo spirito di unità, empatia e volontà di condivisione che da sempre ci contraddistingueva come individui, si rinnova, rinasce e continua”. Ed è dietro questa spinta che lo Strikedown Fest si è celebrato, incurante delle avversità, tra generose riduzioni del costo del ticket e gruppi che si sono resi disponibili a riempire i vuoti delle defezioni. La formula è stata quella rodata nelle edizioni passate: due giorni di band, dj set, food tracks e banchetti del merch, tutto organizzato con la giusta cura dei dettagli e puntualità svizzera.
La prima giornata ha visto esibirsi diverse band cagliaritane. In apertura i giovani e promettenti Stigmatized, con il loro grindcore che strizza l’occhio al black metal, poi i Regrowth che hanno mostrato tutta la propria abilità nel muoversi nel solco dell’hardcore melodico, l’emocore de Il Mare di Ross e gli immor(t)ali Raw che hanno impreziosito lo show con blasfemia, splatter e pornografia, da sempre sono il loro timbro. Notevole l’incursione di Real Da Bomb, aka Roberto Concas, mc cagliaritano che con il suo apprezzato show rinsalda il doppio filo che tiene legati il mondo hardcore e quello rap/hip-hop anche in Sardegna. Gli olbiesi Delirio, band dal pesante background (il chitarrista suonava con i To Ed Gein di Salmo) annunciati all’ultimo momento, regalano un tuffo nell’hardcore newyorkese di fine secolo. In chiusura l’hardcore monolitico, compatto e cantato in italiano dei Dufresne da Vicenza, degna conclusione del climax della prima giornata.
La serata del sabato è stata aperta dai Built on Abuse, quintetto crust punk di tutta esperienza, cui fanno seguito i sassaresi Earthfall, X sulla mano e slogan vegani sulle t-shirt e i Plastic Drop, trio cagliaritano punk rock che, pur offrendo una tregua al pogo, non ha mollato un attimo la presa sul pubblico. La rappresentanza rap è lasciata a Mefis Depedis e il suo flow carico di pungente ironia. Presenti anche i Padrini, storia dello scanzonato punk cagliaritano, che, coerentemente con il loro pedigree, propongono il loro scanzonato punk cagliaritano. Da oltre tirreno arrivano i Tsubo, da Latina, e il loro grindcore cantato in italiano, mentre dal belgio i Daggers, hanno impressionato da subito il pubblico grazie soprattutto alla forte presenza scenica del cantante che non si è negato trazioni sull’americana e stage diving. A chiudere sono stati i londinesi Dead Swans, potenti e granitici, forse la band più matura di tutta la line-up.
Al temine del festival, oltre al fischio nelle orecchie – che è tanto – rimane la consapevolezza di aver partecipato a qualcosa di importante, non altisonante o blasonato, ma veramente significante: per chi lo ha ideato, per chi lo porta avanti, per chi ha suonato e per chi era sotto il palco. L’hardcore con la sua visceralità e ruvidezza è forse la migliore forma musicale per azionare il processo catartico che dal ricordo, dalla tristezza, dalla rabbia, porta a una nuova infusione di energia e vita.
Questo è lo Strikedown Fest, viva lo Strikedown Fest!