Copertina di Sol, album di WAS

Sol – Was

Claudio LoiMusica, Recensioni

Fresco di stampa – si fa per dire – Sol il nuovo album di disponibile per il momento in digitale su Bandcamp insieme a tutto il corpus sonoro di Andrea Cherchi e, per i più feticisti, in combo con una cartolina a tiratura super-limitata creata da Giorgia Cadeddu da una foto di Chiara Coppola. 

Sol comprende sette nuove composizioni composte e suonate dallo stesso Cherchi che si diverte a smanettare macchine dal sapore antico come il Moog, il Clavia, la mai dimenticata drum machine, e anche attrezzi da antico artigiano come chitarra, basso, qualche campione pescato qui e là e persino la voce, il più antico degli strumenti. Tutto questo all’ombra del Monte Linas, di acque che frangono la roccia, di ombre che in questo lembo di terra sono più lunghe e minacciose che altrove, qualche fabbrica abbandonata a ricordarci che Sheffield è appena dietro l’angolo. In questo nuovo periplo Andrea si è fatto accompagnare in alcune tracce da Giacomo Salis (percussioni), Antonio Pinna (xilofono), Alessio Atzori che graffia e maltratta un povero vinile e l’apporto di Antonio Orrù al mastering: abili artigiani, gente di fiducia con cui Cherchi collabora da lungo tempo quasi a voler ribadire un fermo e risoluto senso di appartenenza.

In realtà le nuove composizioni di WAS aggiungono un nuovo punto di vista alla sua storia. Sembrano superate (ma non del tutto) le bucoliche rappresentazioni psycho-folk delle origini, una certa attitudine alla malinconia post-trauma tipo Bon Iver in ritiro penitenziale, persino l’approccio post-synth-pop che ha caratterizzato alcune opere del passato è adesso solo abbozzato e mai prevalente. Sol va oltre, si scollina la montagna e si aprono nuovi orizzonti, ci si ritrova in praterie sonore che sembrano arrivare dal catalogo della Warp o da certe esperienze di geografia immaginaria che solo certi crucchi sanno fare al meglio (To Rococo Rot in primis). Sol sembra lasciarsi trasportare dalla corrente, non ha una direzione certa, si naviga a vista verso destinazioni ignote, volutamente e in modo consapevole. Talvolta ci si sposta a oriente come nella traccia chiamata Ozu quando si viene accarezzati da un leggero venticello esotico arrivare dall’est più estremo (Sol levante?), quasi un omaggio al primo Sakamoto e alla sua immaginifica forza creativa.

Un lavoro che fa della citazione la sua cifra primaria, che ci avvisa che siamo ancora sotto gli effetti della narcosi postmoderna, che rende omaggio alle tante emozioni che arrivano dal mondo grande e terribile, da anni di ascolti e passioni mai sopite, da tradizioni che vengono maltrattate e sfoderate, dalla voglia di scappare dalle gabbie del luogo comune e dalle ideologie. Il disco si chiude con Over una malinconica serenata post-ambient che ci riporta alle origini di quella virata estetica, quando la parola ambient era ancora un forziere tutto da scassinare: musica discreta che scatena una piacevole sensazione di torpore che solo la buona musica riesce a provocare.