SILENZIO – SARRAM

Simone La CroceMusica, Recensioni

A Valerio Marras piace deformare, distorcere, assemblare, comporre nel senso più fisico e geometrico del termine, più affine alle arti plastiche e visive che alla musica.

Vocazione palese nel suo percorso discografico sotto il nome di S A R R A M, che lo ha visto esordire con “A Bolu, in C”, una lunga traversata in quel mare scuro e fangoso che bagna le sponde di post rock, drone e industrial, nella quale testava le potenzialità espressive della sua chitarra, dalla smaterializzazione all’esplosione del suono. Nel passaggio successivo, “Four Movements of a Shade”, è stata, invece, la dilatazione sonora ed emotiva a delineare i quattro movimenti del disco e a connotarne la genesi.

Con l’ultimo album, “Silenzio”, pensato e inciso tra marzo e giugno di quest’anno, in isolamento tra le mura domestiche, l’autore nuorese aggiunge un ulteriore tassello, fino a questo momento del tutto assente: le parole. La mancanza di contatto reale lo ha spinto a sentire un po’ di amici sparsi per il mondo per chiedere loro di raccontare la propria esperienza di segregazione forzata, un flusso di coscienza senza particolari vincoli di mezzo o di trama, a eccezione della richiesta che si esprimessero nella propria lingua madre. Ognuno di loro ha così inviato la sua testimonianza, con un vocale su Whatsapp o una registrazione simil-radiofonica, in ceco, farsi, sardo e tedesco. Ricevuto il materiale, Valerio ha iniziato a lavorare alle musiche, solo con i mezzi e le possibilità di cui disponeva in casa (field recording, suoni sparsi, droni), senza alterare le imperfezioni delle registrazioni stesse. Le parole e i messaggi ricevuti lo hanno guidato così nella stesura delle musiche, condizionandone le dinamiche e le digressioni emotive. Un percorso creativo anomalo, nel quale gli input primari – i contenuti delle testimonianze – non sono stati influenzati da niente al di fuori dello status esistenziale delle persone che li hanno concepiti, a loro volta estranee a quello che successivamente il musicista ne avrebbe fatto. Un sistema di filtri, assenti, impliciti e non voluti, dettati dalla separazione e dalla distanza, ma paradossalmente liberi da qualsiasi altra forma di subordinazione.

“Thomas ha scritto una poesia, Elaheh ha fatto un discorso politico, Diego presumo l’abbia capito, Dimi ha parlato del suo anno tra alti e bassi, Sarah del suo cambio di routine”, racconta Marras, “Tutti diversi, tutti da paesi diversi e con esperienze diverse. Tutti unici”. I nomi propri degli amici del chitarrista (Thomas Malotin, Elaheh Mohammadbaghban, Gabriele Gasparotti, Diego Pani, Daniele Borri, Dimitrios Kaitsis, Giona Vinti e Sarah Kristof) sono così diventati i titoli delle otto tracce di cui è composto il disco, a voler dare alle persone e alle loro parole l’onore di comprimari nella genesi dell’album.

In musica, spesso la parola completa, arricchisce, tratteggia, e, altrettanto di frequente, tende a prendersi la scena togliendo respiro al contesto. In un progetto come quello di S A R R A M, incentrato sul suono e sulle architetture compositive, questo non poteva succedere. Le narrazioni hanno guidato la sua chitarra e i suoi pedali, portandolo dove nemmeno lui sapeva di dover arrivare. I flussi di coscienza sono stati catalizzati attraverso le sue dita nella creazione delle atmosfere, a dare vita e contesto a quelle parole, rendendole in tal modo parte integrante della struttura dei brani: un elemento al pari degli altri, dei feedback, dei riverberi, delle variazioni armoniche, dei disturbi. Valerio ha scavato, così, nei significati profondi delle parole, nelle anime di quelle persone che ben conosce, fino a tirare fuori la materia viva celata in quegli abissi e a trasformarla in suoni. “” è un ritratto del periodo vissuto in lockdown, impietoso e non edulcorato dai messaggi di speranza e di positività a ogni costo imposti dai media e dalla paura reale di non riuscire a superarlo; uno schiaffo di realtà, vissuta e autentica, dal fondo di quei buchi neri dai quali tutti abbiamo cercato di distogliere lo sguardo. Un lavoro che va ben oltre il soundscaping, l’improvvisazione, la scrittura, un tentativo di voler plasmare entità eteree – paure, percezioni, speranze – fino a fonderle in forme musicali compiute, nella ricerca di una loro visione altra, oscura, indefinita e, solo apparentemente, imperscrutabile.

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