Una formazione che si muoveva tra gli altopiani del Medio Campidano all’inizio di questo secolo e per qualche anno ha cercato di animare quelle terre prima che divenisse una miniera di suoni ed emozioni che oggi conosciamo bene.
L’idea degli Shasa partiva dalla seminale esperienza degli Isola Song di San Gavino e da un’idea di Giuseppe Melis (contrabbassista e batterista), Marco Lai (chitarre) e la voce di Stefano Floris prima della sua avventura come conduttore televisivo, entertainer senza fissa dimora e globetrotter multimediale in tempi più recenti.
La proposta degli Shasa veniva inserita, forse in modo troppo frettoloso, nella grande famiglia dell’etno rock ma in realtà vi confluivano tante esperienze, molteplici punti di vista, nuove prospettive sonore ed era difficile capire in che direzione volevano andare anche se credo che non si siano mai posti il problema. Nel loro sound trasparivano echi del prog più evoluto, rock di matrice ortodossa così come classica, fusion e l’immancabile richiamo alla tradizione sarda.
Forse troppi ingredienti, forse troppa furia comunicativa ma loro ci hanno creduto davvero in questo progetto e per qualche anno erano sempre in prima fila e ospiti dei vari festival sparsi per l’isola.
Per quanto mi è dato sapere hanno lasciato una sola testimonianza discografica intitolata Emozionarsi Per Emozionare che risale al 2002 e nel 2003 un video clip (Fuedda) che, partendo dalle intuizioni ereditate dagli Isola Song, è rimasto il loro manifesto.
Un lavoro che dimostra quanto fosse impalpabile e indefinibile questo progetto e quanto si divertivano a suonare e fare le cose seriamente e cercare le giuste collaborazioni come quella con Matteo Muntoni (stessa terra d’origine e già in tiro nonostante la giovane età), Walter Atzori e Francesco Pilu dei Cordas et Cannas e le sue launeddas a fornire la giusta dose di sarditudine.