SEUINMUSICA 26-27-28 luglio 2024

RedazioneLive report

Diario di viaggio

Un report di Gabriele Mureddu e Claudio Loi

Il viaggio verso Seui sembra non finire mai, ci si arrampica lungo le dorsali che lambiscono la Barbagia di Seulo, si gode di una visione contemplativa del paesaggio curva dopo curva finché non si arriva a destinazione. Quando si arriva tutto cambia, si respira a pieni polmoni aria di qualità e se si ha la fortuna di arrivare nel pomeriggio del 26 luglio ci sarà una masnada di gilet jaune (quelli pacifisti) ad accogliere il pubblico con la loro musica fatta di frammenti raccolti in giro per il globo. La Seuinstreetband, la più grande street band della Sardegna dall’alto dei suoi 30 elementi, nasce proprio tra i suoi vicoli tortuosi e stretti, nei labirinti delle case, negli orti ricavati in ogni angolo di terra. Una storia difficile da sintetizzare in poche righe, un’esperienza umana e culturale che nasce e si sviluppa proprio in questo lembo sperduto di terra. La storia della street band in realtà parte da molto lontano – ben oltre quel 2019 che ne segna la data di formazione – e si spinge fino al 1922, nel momento in cui viene formalizzata la nascita della Banda Musicale Gioacchino Rossini, punto di partenza di molte cose. La Banda è, ancora oggi, un corpo organico al tessuto sociale e molto legata a usi e tradizioni come partecipare a processioni, cortei civili, funerali, concerti, saggi di bambini. In generale, dalle parole dei protagonisti, si percepisce ancor di più la passione che caratterizza questa insolita avventura. Sono vibrazioni positive che fanno bene, emozioni che contagiano e rendono il mondo più vivibile. 

In questa cornice si inserisce alla perfezione un festival come Seuinmusica, giunto alla nona edizione, diventato negli anni un punto di riferimento dell’estate isolana. La manifestazione occupa gli spazi del paese, le case si aprono per accogliere chi arriva da fuori, l’atmosfera è amichevole e la piazza di San Giovanni diventa il punto di riferimento per le esibizioni degli artisti.

SeuinStreetband – foto di Giulio Capobianco

Uno scenario umano e sociale che sembra confermare le intuizioni di Christian Norberg-Schulz quando parlava di Genius Loci, una guida con cui l’uomo deve scendere a patti per acquisire la possibilità di abitare il territorio, come uno spazio con una precisa identità, sempre riconoscibile, con caratteri che possono essere eterni o mutevoli. Questa forte correlazione tra geografia fisica e geografia della mente si coglie in modo netto in paesi come Seui. Nonostante gli assalti della pseudo-modernità, il centro barbaricino conserva i tratti della sua storia, che è quindi storia dei luoghi e dell’abitare. E allora anche un festival come , la sua banda, la sua street band sono proprio diretta espressione del Genius Loci e della caparbia volontà di essere e di esserci.

Il festival opera come laboratorio socio-culturale a cielo aperto. Nell’esperienza di frequentatori di eventi musicali, a prescindere dalla veste di spettatore o di cronista, vivere intensamente il comune ospitante è qualcosa che potrebbe rappresentare una delle soluzioni per agevolare uno sviluppo del territorio, la diffusione della cultura e l’incontro tra persone provenienti da luoghi diversi, anche in un’ottica di turismo alternativo. Vi è una predisposizione da parte della maggioranza dei residenti, rispetto ad altri casi in cui l’evento è un corpo estraneo o un’anomalia temporanea che viene accettata quasi esclusivamente per abitudine e interessi economici. Qua invece risuona una chiamata alle armi per una buona parte della comunità. Anche chi non è coinvolto in modo diretto si adopera per apportare un contributo e porre la propria firma nel cartellone invisibile dei saluti finali. E le modalità di supporto sono molteplici: dall’essere spettatore a concerti spesso imprevedibili, esibire le magliette (e se ne sono viste tante, lontano dai palchi e in ore in cui il festival era in standby) oppure offrendo ospitalità.

Ma si parla anche di un paese vestito di musica, ricoperto di grandi tavole, appese ai muri delle case, su cui vengono disegnate le figure stilizzate di musicisti, artisti, cantanti e nomi collegati alla musica in un gigantesco collage di volti noti, alcuni dei quali sono passati in Sardegna nel corso degli anni. Con l’augurio che altri possano decidere di incrociare le loro tappe dei tour nella nostra regione. Una galleria di dèi penati, protettori della musica, icone che proteggono e sono benevole nei confronti del festival, come la gigantografia di Tom Waits in prossimità del palco.

In questo scenario è davvero piacevole trascorrere i tre giorni del festival, affrontare le discese ardite e le risalite con la giusta calma che questa pratica necessita e in qualche modo tiene lontane le nevrosi del quotidiano, mischiarsi alla gente del luogo che per l’occasione sfoggia una maglia con una rana che beffarda ci scruta. La stessa nasconde diversi significati: talvolta è simbolo di guarigione e buona salute, rimanda al potere rigenerativo delle acque, spirito delle caverne, dei laghi, dei pozzi e delle fontane. In alcune culture rappresenta anche l’agricoltura inserita in un contesto di armonia con l’ambiente ed esiste anche una versione più dark che vede il rospo come spirito delle tenebre e simbolo del demonio. Magari non era proprio questo l’intento degli organizzatori, dell‘Associazione Culturale Kromatica e di Luigi Murgia e Andrea Sanna (direttori artistici), ma sembrano ipotesi abbastanza plausibili e coerenti con il contesto avanza comunque spazio per altre interpretazioni. La direzione dell’associazione, insieme al supporto attivo del vicesindaco e di un collettivo composto da giovani, determinati e che hanno il maggior polso della situazione, creano un ponte tra istituzioni, arte e la comunità. I contributi, a differenza di altri festival molto più ricchi, si compensano con l’impegno, che restituisce speranza per la creazione di proposte dal basso. 

Maurizio Pretta (al centro) intervista Gabriele Mureddu e Claudio Loi di Sa Scena – foto di Giulio Capobianco.

 Un festival che si colloca nel circuito degli eventi che fanno della sostenibilità la propria caratteristica più marcata, con l’intenzione di voler essere qualcosa al di fuori degli schemi. Alternative Music Festival non è soltanto uno slogan buttato lì per caso, ma una chiave di lettura per significare che esistono veramente le alternative, che è possibile spezzare quella sorta di forza centrifuga che in Sardegna sposta tutto verso i suoi bordi e le grandi città, in cui il centro diventa la vera periferia dell’impero. Scardinare questa logica non è facile ma eventi come questo possono diventare una risposta per invertire questa tendenza, seppur per pochi giorni e con una valenza simbolica enorme.

Notrasa – foto di Giulio Capobianco

Il festival è soprattutto musica e di alto livello, sempre fuori margine, sempre oltre le previsioni metereologiche. C’è spazio per la proposta multiculturale sardo-turca di Ethno Trip che in certi passaggi rievoca il quarto mondo ipotizzato da Jon Hassell; le visioni dark di The Owl in Daylight sospese tra elettronica, percussioni e persino qualche reminiscenza kraut che fa sempre bene. Il trio, composto da Giacomo Salis, Andrea Cherchi (WAS) e Mauro Vacca, ha scelto un nome che richiama il titolo di un racconto di Philip K. Dick, e questo è già di per sé un ottimo biglietto da visita. La Città di Notte ha fatto esplodere la piazza con la sua miscela di jazz, blues, rock, pop, tradizione canora italiana e persino una stralunata versione di Blank Generation di Richard Hell. Sprigu è invece una seduta di analisi in cui due musicisti, Andrea Sanna e Marco Coa, si scrutano, si specchiano e provano a dialogare con il linguaggio dei suoni, contrapponendosi e incontrandosi dalle proprie postazioni costruite dal rhodes e dai synth. 

Di assoluto interesse la proposta degli Studio Murena che, da Milano, portano la nuova visione del rap multifunzione nel quale la musica non è soltanto accessoria ai versi, ma gode di un peso specifico e non mero accompagnamento musicale. Il loro è un incontro di mondi che normalmente vengono ritenuti in antitesi: il conservatorio, con le proprie regole, la rigidità istituzionale e la propria funzione di scuola musicale da un lato, e il rap come linguaggio della controffensiva metropolitana, delle periferie in risposta al silenzio assordante delle istituzioni. Da questo incontro nasce una nuova sintesi, che valorizza le basi jazz-funk e dei beat elettronici per creare il terreno fertile in cui si propaga il flow, mistro a spoken, con testi in italiano carichi di riflessioni e flusso di coscienza. Notrasa, l’ultima maschera scelta da Alessio Atzori dopo i progetti MyNerdPride ed Everybody Tesla (quest’ultimo duo insieme ad Alek Hidell) è invece un uomo solo al comando che manipola strumenti elettronici e dispensa suoni senza fissa dimora, che raccontano delle case e delle persone che le hanno abitate. La notte di sabato Maurizio Pretta cede il posto al suo alter-ego Palitrottu e invoca una jam ai musicisti, lasciando gli stessi liberi di scambiarsi gli strumenti e salire sul palco. La session notturna, che si svolge verso le due di notte dopo il set di Notrasa (che vi prenderà parte), vede alternarsi gli Sprigu, un paio di volti noti della Conduction e della Seuinstreet, il batterista degli Studio Murena che verrà sostituito da Nicola Vacca dei Freak Motel. 

Studio Murena – foto di Giulio Capobianco

Il terzo giorno, domenica, si apre con le Masterclass Paru 2.0 e la conduction del maestro Simone Grande, tenuta presso la sede della Band Rossini e il cui esito è stato presentato nella serata, le performance conclusive del Choro da Ilha e dell’ensemble guidato da Andrea Ruggeri, che da poco ha pubblicato un nuovo disco, raccontato dal nostro Simone La Croce, si chiude la bella esperienza della nona edizione di SIM. 

In conclusione è giusto citare anche le tante iniziative collaterali. Oltre alla masterclass, una mostra fotografica dedicata a Pinuccio Sciola, la proiezione del film “Mira Sa Dì”, gli aperitivi musicati da Irene Loche che ci racconta la sua visione dell’America; la presentazione dell’annuario 2023 a cura de Sa Scena con un dibattito sullo stato della musica in Sardegna, le invenzioni della Tattoo Mexican Family e soprattutto un ambiente umano che è difficile trovare altrove. Il tutto presentato e spiegato da Maurizio “Palitrottu” Pretta che ben conosce questi ambienti e le logiche della musica. Restiamo in attesa di capire cosa proporrà la prossima edizione, quella del decennale. Le uniche certezze è che l’ospitalità e la passione saranno al servizio della musica. 

Paru 2.0 – Foto di Giulio Capobianco

Qui potete sfogliare la nostra galleria fotografica dei tre giorni dell’evento, negli scatti di Giulio Capobianco.