Gli Sbrokko Atipico tornano alle stampe con Nessuna terra su cui issare bandiere. Dopo vent’anni dal loro primo e finora unico disco Odio represso, la formula è ancora la medesima: punk veloce, urlato e disilluso che guarda un po’ alla California di Black Flag – ma anche Union 13 – e un po’ alla tradizione di tupa tupa del bel paese.
Tra le 13 tracce, una prende in prestito il titolo dell’iconico album dei Negazione – Lo spirito continua – aggiungendo un dannato punto di domanda. Quell’interrogativo impone una riflessione che non può essere nutrita solo da numeri e dal livello di gain. Non è sufficiente limitarsi a elencare i tanti gruppi punk che stanno (ri)popolando i palchi, isolani e non solo, quasi a voler far parlare di nuova ondata, non basta riconoscerne l’estetica o contare i like sulle foto degli stage diving sotto i palchi.
Lo spirito continua se dietro gli ampli, dietro le pelli c’è una weltanschauung espressa, con un portato di valori e di azioni fortemente connesso. Che fossero gli squat, lo straight edge, i social forum o la guerra in Iraq, il punk, l’hardcore e tutte le declinazioni sono stati spesso il codice con cui veicolare quella roba là.
E dunque, lo spirito continua? Gli Sbrokko Atipico danno la loro risposta, nichilista, disillusa e lapidaria: “Il punk è moda e hai tutto il mio disprezzo / Un altro benefit, un altro sit-in sei tu il tuo pubblico (…) confondi la coerenza con un pugno di adesivi”, “I principi che ci legavano sono solo ricordi / Sbiaditi, assopiti in quel palco che calcavamo assieme (…) Lo spirito continua? Io non credo”.
Però se c’è ancora voglia di porsi la domanda, se per dare una risposta, seppur rassegnata, si continua a utilizzare quel codice, se c’è ancora voglia di sfruttare le poche righe di quella che dovrebbe o potrebbe essere solo una recensione per riflettere su quell’interrogativo, è forse perchè lo spirito è sì interrotto, ma pervade latente le viscere e la vita di chi, anche solo per un attimo, ci ha creduto. E collassa simmetricamente in quell’attitudine, anch’essa partorita sull’asse Cagliari-Torino, che ci vuole pessimisti con la ragione e ottimisti con la volontà.
Nessuna terra su cui issare bandiere è comunque davvero bello, tanto da meritare, oltre all’ascolto, un dispendio di tempo che vada oltre la sua durata. Forse in questa sede sarebbe stato appropriato un approfondimento maggiore da parte di chi scrive. Ma anche no: il disco ha posto questioni talmente ingombranti da far passare in secondo piano la descrizione narrativa.