Quattro chiacchiere con l’autore di “Un salto nel blues“
Fine estate del 1978. Un’estate particolarmente calda. Alla tv trasmettono la serie Radici ispirata al libro di Alex Haley. Radici raccontava le vicissitudini di Kunta Kinte, un uomo africano deportato contro il suo volere ad Annapolis, dove fu venduto ad un proprietario terriero della Virginia.
La visione di quelle immagini turbò a fondo Salvatore Amara, che aveva solo 12 anni. Si sentì come coinvolto in quello che vedeva da non riuscire a capire il perché e le motivazioni di quelle atrocità. Quelle immagini ancora lo turbano. Ancora oggi si chiede come si possano evitare tragedie come quella capitata a Kunta Kinte e a migliaia di uomini, e che sono ancora vive, attuali, vicine. Da quel giorno iniziò il suo viaggio alla scoperta del blues.
La Musica Blues che stava nascendo in quel periodo attraverso le urla di dolore di quelli uomini che cercavano la libertà e una loro dignità di vita, di uomini. È da quel momento che Salvatore Amara decide di raccontare la storia di questa musica. Ci regala il suo libro Un Salto nel Blues, un lavoro minuzioso lungo quattro anni. Parte da quell’episodio per poi accompagnare ogni lettore nelle vicende che il blues ha lasciato.
In quest’intervista, di cui a Sa Scena Sarda siamo fieri, l’autore ci parla dei suoi inizi musicali, del suo libro e di come vive quel dolore che lo accompagna da quarant’anni.
L’intervista
Può raccontarci qualcosa di Lei, dei suoi primi ascolti.
Sin da piccolo la musica ha sempre fatto parte della mia vita. Con il passare del tempo ho letteralmente squagliato mangiadischi, radioni, walkman, lettori cd e impianti stereo, di vario genere e fattura. Ho ascoltato prevalentemente musica proveniente dagli U.S.A. Specialmente rock’n’roll e ballads, prediligendo, in particolare, Little Richard, Bob Dylan, Dire Straits, Santana ed infine Jimi Hendrix e Bob Marley, ma anche Bennato e Pino Daniele, fino a quando, un bel giorno, John Lee Hooker mi ha presentato il Blues!
Nel suo libro Un salto nel blues, racconta di un episodio che accadde una fine estate del 1978. Fu a seguito della visione della mini serie televisiva Radici, tratto dal famoso libro di Alex Haley. Che cosa ricorda di quel periodo? È stato l’inizio del suo amore per il blues?
Avevo quasi 12 anni e ricordo che guardando l’evolversi della vicenda umana di Kunta Kinte provai dei sentimenti che allora per me erano del tutto nuovi. Ne fui così coinvolto dal sentirmi visceralmente legato a quel ragazzo, pensando che quella disgrazia sarebbe potuta capitare anche e me o a qualcuno dei miei amici, se solo fossimo nati nel periodo e nel posto sbagliato! Credo, anzi sono certo, che quella consapevolezza mi aiutò a crescere. Per quanto mi ricordi, all’epoca non avevo mai sentito musica blues, e non sapevo affatto cosa fosse il Blues. Anche se in realtà lo stavo guardando proprio dritto negli occhi.
Alla fine del secondo capitolo del libro si è posto tre domande per capire le cause di quel dolore che la perseguitò dopo la visione di Radici. La prima riguardava il perché di quella sensazione dolorosa verso le vicissitudini di Kunta Kinte. Perché quella storia la turbò così tanto? A distanza di anni, prova ancora quei sentimenti? Come li vive?
Non ho idea del motivo per cui la storia di Kunta mi turbò così tanto. Una spiegazione la si potrebbe trovare nella metempsicosi, oppure, come ho detto, dipendeva semplicemente dal fatto che mi resi conto che una tale disgrazia sarebbe potuta capitare a chiunque. In effetti, nonostante siano passati tanti anni, quei sentimenti sono rimasti inalterati, tanto che reagisco emozionalmente sempre allo stesso modo ogni qualvolta mi capita di leggere o di guardare vicende che riguardano episodi di oppressione e sfruttamento dell’uomo nei confronti dei suoi simili. Provo ancora rabbia ed impotenza. Sentimenti che ritengo provi la maggior parte delle persone, considerato che a perpetrare le azioni più deplorevoli siano proprio coloro che detengono il potere maggiore sulla terra. Pertanto, a ciascuno di noi non resta altro che comportarsi nel miglior modo possibile nei riguardi del prossimo. Nei confronti di tutti coloro che ci capiterà di incontrare sul nostro percorso di vita, affidando con la preghiera tutto il resto a Dio.
E per quanto riguarda sul perché il “Signore” abbia tollerato che quello che è successo secoli fa accadesse, cosa può rispondere oggi?
Tra le pagine del libro ho scritto che probabilmente senza quella sofferenza il mondo non avrebbe avuto in dono la musica Blues, anche se mi pare evidente che nessun dono valeva una simile atrocità. In realtà non ho idea del perché il Signore abbia permesso che ciò accadesse, e non ho certo la pretesa di poter conoscere o interpretare la volontà divina.L’unica cosa di cui sono certo, in virtù della mia fede in Dio, è la consapevolezza che i piani del Signore hanno sicuramente un senso. È tutto finalizzato al nostro bene e alla salvezza della nostra anima, che spesso non corrisponde agli onori e al benessere su questa terra, ma solo a Lui è dato conoscerne le modalità.
Il libro racconta gli episodi del passato che hanno portato alla nascita della musica blues. Se si volesse fare un viaggio in quei luoghi, da dove si dovrebbe iniziare? I luoghi che consiglierebbe di visitare assolutamente e quelli da esplorare più in profondità?
Si potrebbe partire da Chicago, patria del blues moderno, e dopo un immancabile salto a Detroit, per onorare la memoria di John Lee Hooker, dirigersi a Louisville e da lì a Nashville, quindi a Memphis, per poi entrare in Mississippi, dove tutto ha avuto inizio, e terminare il viaggio a New Orleans. Qualora, poi, si avesse ancora un po’ di tempo a disposizione fare pure una capatina in Texas non sarebbe male!
Il Blues è sempre vitale, seppure con i suoi alti e bassi, in accordo con le mode del periodo. Riguardo me, sono sempre troppo legato ai musicisti del passato e non vedo chi oggi possa sostituirli. Per questo motivo quando anche all’ultimo alfiere, Buddy Guy, verrà consegnato il biglietto di sola andata per il viaggio finale mi consolerò ascoltando i dischi suoi e di quelli che l’hanno preceduto. Invece, per quanto riguarda il blues venato di rock, ci si può sempre affidare ai granitici ZZ Top, che spero possano regalarci buona musica ancora per qualche decennio.
Nel panorama sardo le piace qualcosa in particolare?
Preferisco non rispondere a questa domanda, scusi.
Come sta cambiando, secondo lei, il panorama nostro musicale? Quali cambiamenti si sentono maggiormente e da cosa possono essere dovuti?
Se si riferisce al panorama nazionale, ritengo che, come detto poc’anzi, siano le mode imposte dal mercato, e quindi dai produttori e dalle etichette discografiche di maggior peso economico, a dettarne il corso. Il resto è tutto affidato ai circuiti c.d. underground, nei limiti delle loro possibilità. Ecco perché ancora oggi il blues viene definito un genere di nicchia, nonostante costituisca il fondamento della maggior parte della musica che viene trasmessa in radio e ne facciano uso svariati spot pubblicitari televisivi.
Ha intenzione di lavorare a breve ad un nuovo progetto discografico?
In realtà dal 2008, ossia da quando ho ripreso a suonare con una certa continuità, non ho mai smesso di produrre album. Nell’estate del 2007 ho avuto la fortuna di assistere proprio ad un concerto degli ZZ Top a Chula Vista, al confine tra la California e il Messico, e ho realizzato che soltanto producendo musica originale avrei potuto tenere la corrente creativa sempre accesa, nonostante i continui scossoni dovuti alla schizofrenia del mercato. Per questo motivo, dopo aver rimodellato la mia Easy Blues Band, ho ripreso a scrivere testi e comporre canzoni, e grazie a questo nuovo slancio, che dura ormai da dieci anni, ora mi ritrovo a disposizione circa duecento brani, e spero di poter realizzare un buon numero di dischi. Attualmente stiamo lavorando al prossimo album, che confido possa uscire quest’estate, la stagione che preferisco per far nascere una nuova vita musicale!
E ad un libro?
Subito dopo aver consegnato alla stampa Un Salto nel Blues, ho iniziato a scrivere un nuovo libro, mettendo a fuoco alcuni aspetti già sorvolati con il primo. Credo e spero di riuscire a pubblicarlo fra qualche anno.
Quali consigli darebbe a chi vorrebbe fare del blues ora?
Lo stesso consiglio che diedi a me stesso tanti anni fa. Ossia capire innanzitutto di cosa si tratti, ripercorrendone la storia, ancor prima che affrontarne l’aspetto musicale. Quindi studiarne con attenzione i protagonisti che ci hanno permesso di conoscerlo e il loro contributo musicale. Consiglio, però, soprattutto di suonare ciò che più ci fa sentire bene con noi stessi, indipendentemente da quello che pensano gli altri. È per questo motivo che prima non ho risposto alla tua domanda, per evitare che i miei commenti possano essere fuorvianti o interpretati in maniere scorretta.
L’ultima domanda: il blues ha ancora dei margini di evoluzione e innovazione o, secondo lei, ormai è già stato detto, scritto e suonato tutto? È un genere vivo o ciò che si sente è solo il continuo riesumare i mostri sacri attualizzandoli?
Il Blues si evolverà sempre, seguendo il corso della vita stessa, alla quale è fortemente collegato. Del resto se fosse già stato detto, scritto e suonato tutto, io stesso non avrei motivo di continuare a scrivere e suonare Blues. E, come ho già detto, dimenticare e non far tesoro della lezione musicale di tutti coloro che ci hanno preceduto su questa strada sarebbe un gravissimo errore.
Grazie per l’intervista, Salvatore. È un piacere e un onore per me.
È stato un mio piacere. Grazie e lunga vita al BLUES!