Glitch è una di quelle paroline che sono risuonate più spesso nell’ultimo trentennio. Solitamente viene utilizzata in musica per definire un sottogenere dell’elettronica fondato su “errori” (detti, appunto, “glitch”) come ronzii, distorsioni e salti del cd prodotti dalle strumentazioni digitali.
Glitch è anche uno dei termini (assieme a suoni ambientali, colonne sonore, elettronica pura, e drone) che Ryu Mortu indica per definire il suo percorso. Chissà se l’artista paulese, definendosi in questo modo, ha pensato a Brian Eno quando esorta a onorare gli errori come intenzioni nascoste? Verrebbe spontaneo pensare di sì ascoltando Transmission, ottava fatica discografica in appena tre anni e mezzo che, con i suoi settantasette minuti, è certamente il lavoro più lungo e complesso finora pubblicato dal nostro.
Ryu Mortu è un progetto di sperimentazione sonora estremamente eclettico, capace di farsi attraversare dalle più disparate correnti sperimentali, dall’ambient all’hyperdub passando per drone music e aperture krautiane.
Sette brani lunghi e articolati (quasi tutti dai nove ai quindici minuti di durata) che a volte sembrano seguire sentieri tracciati dai precedenti lavori, altre sono invece capaci di sfondare confini noti, aggiungere nuove spezie e destreggiarsi fra umori melodici e reminiscenze hauntologiche sporcate lo-fi. Davvero notevole la padronanza della chitarra che, sulla scia di certa Kosmische ma anche di alcuni artisti di scuola Mille Plateaux, deraglia verso territori che creano paesaggi musicali degni di un field recording desertico.