Il racconto del festival tenutosi a Valledoria a fine agosto
Fotografie di Laura Pistidda
La prima cosa che noto è il palco in rada. A essere precisi “in rada” non è la parola più consona: fa riferimento al mare e qui siamo su un fiume, il Coghinas. Ma è il primo termine a essermi venuto in mente e quello che ho mantenuto per tutta la due giorni di Ruina Sonora. Gli artisti si sono esibiti su un palco costruito letteralmente a ridosso dell'acqua (guardare le foto per credere). Questo porta due costanti: in primis tutte le esibizioni pre-nottata si svolgono in un'aura sospesa, quasi innaturale. Inoltre non essendoci un vero e proprio backstage gli artisti e le artiste salgono e scendono dal palco mischiandosi al pubblico e questo visivamente è molto bello.

Il 27 Agosto arriviamo all'Imbarcadero intorno alle 18:30, minuto più minuto meno. Ci piazziamo al banchetto, tiriamo fuori gli annuari, ci immergiamo nell'Autan e io mi avvicino al palco. Alle macchine c'è l'italo-canadese Dominic Sambucco per un set a metà fra l'elettronica, l'ambient e la musique concrete. Non so quali marchingegni stia usando Tiene banco per un'oretta buona manipolando i rumori che escono da tre contenitori di vetro colmi d'acqua che ha davanti oltre a una distesa di pulsanti. Il tutto con un tramonto mozzafiato alle spalle. Ipnotico.

Ci si prepara al cambio palco per il Dj set di Renton aka Gabriele Crasta e io ne approfitto per fare un giro di perlustrazione del posto. C'è il banchetto di Potente Records praticamente accanto al nostro (e cerco di starci lontano, ma SPOILER non ci riesco), ci sono i ragazzi e le ragazze di Emergency, c'è l'associazione ambientalista Alberea, il pubblico seduto sul prato, i panini, le birre e la pizza. Il set di Renton sfuma con il minimalismo 80's di Kids (direttamente da Stranger Things) e una versione pitchata e malinconica di L'estate sta finendo su cui mi intratterrò in una lunga dissertazione con lo stesso Crasta poco dopo.
Guardo l'orologio e il time table che mi ha dato Eugenio Caria/Saffronkeira: sono da poco passate le 21:30 ed è il momento della presentazione della serata. Sul palco sale Giovanni Salis che offre uno spazio ai rappresentanti di Emergency, di Alberea e di Warfree. Nella presentazione si sottolinea, tra l'altro, l'importanza del luogo in cui il festival si sta svolgendo (un'area protetta S.I.C., ossia Sito di Interesse Comunitario). Pochi contestatori fischiano l'intervento dicendo “Siamo qui per ascoltare musica e non per sentir gente parlare di politica”. Mai come in questi casi il contesto in cui si svolge l'evento è importante almeno quanto l'evento stesso. E, nota a margine, la musica di per se stessa è un atto politico.
Alek Hidell (al secolo Dario Licciardi) è uno degli artisti che aspetto più fervidamente. E la sua esibizione è ben al di là delle mie aspettative: psichedelia, kraut rock, beat massicci dritti in faccia, atmosfere distese e acme da dancefloor – tutto condensato in un'ora. Bravo e ancora bravo.

Si avvicina la fine della prima giornata, almeno per noi di Sa Scena. Prima AH! Kosmos alias Basak Günak ci precipita in un denso magma di dubstep, trip hop e flussi vocali avvolti da una fantasmatica luce rossa. Poi Running Pine con il suo cantato atavico immerso in synth, bordoni soft e drum machine ci accompagna all'uscita. La chiusura è affidata ai Dj set di Saffronkeira e di Howie B, nume tutelare della club culture mondiale (per intenderci: ha collaborato con gente come Massive Attack, Tricky e Brian Eno).

Il giorno dopo le attività cominciano dalla mattina con escursioni in battello, bird watching, discese in kayak e sedute di yoga. Al pomeriggio partono i concerti. La scena è di Street Preacher/Hilmar Arnason che ci accoglie col suo mood acid house. Minimalismo a gogò e luci del tramonto che si rifrangono sull'acqua. Sembra di poter ascoltare un dipinto. Il secondo Dj Set di riscaldamento pre-serata è affidato a Michael It'z, che già la mattina ha accompagnato con le sue selezioni musicali il viaggio in battello. L'ambiente si mantiene disteso con l'esibizione di Meigama, il progetto a due teste nato dall'incontro fra Arrogalla e Mauro Palmas. Elettronica il primo e liuto cantabile e mandola il secondo per uno dei miei set preferiti nel Festival. Intrecci tra world music, dub, improvvisazione e tanto altro.

La performance di Ginevra Nervi è pura energia lisergica impossibile da collocare in un orizzonte preciso. Qualche direttiva potrebbe essere da ricercare fra ambient, IDM, fraseggi vocali, paddoni sintetici e gente che balla. Stessa difficoltà di collocazione vale per Sára Vondrakova alias Never Sol: voce profonda, accavallarsi di synth glaciali, paesaggi sonori vibranti. Il suo set è costituito in parte da canzoni vere e proprie e in parte da improvvisazioni. La dinamica dell'esibizione è un continuo crescendo che trova una distensione nei saluti finali.
Ruina Sonora finisce con il frenetico Dj Set di Gian Franco Bujaroni/Kabaret Maker. Abbandoniamo il posto dopo due giornate intense, con gli occhi pieni di luce del tramonto e le orecchie colme di musica. Un evento denso, corale, con una line-up di tutto rispetto. Compatto e diversificato nello stesso tempo, Ruina Sonora conferma di meritare appieno risonanza mediatica, spazi e senza dubbio un'affluenza maggiore di pubblico. E il palco in rada: quello lo voglio anche la prossima edizione.