Il locale di via Mameli ha avviato una fitta programmazione puntando tanto anche sulle band locali. L’approfondimento di Claudio Loi presente all’esibizione dei Barmudas
Fotografie di Danilo Salis
Il Fabrik ha ripreso la sua programmazione e già questa è un’ottima notizia, soprattutto a Cagliari che al rock concede veramente pochi spazi. Concerti nel fine settimana con tutti gli accorgimenti del caso e il pubblico che finalmente può riprendere a respirare con la migliore terapia possibile: quella di ritrovarsi in uno spazio amico per riprendere il contatto con i propri simili e con le vibrazioni che arrivano dal rock più viscerale. E il pubblico ha risposto molto bene. Si riconoscono, sotto le mascherine d’ordinanza, amici di vecchia data, musicisti, parenti e congiunti, persino alcuni adepti de Sa Scena a caccia di notizie o per ritrovare le emozioni di sempre. Rispetto al passato c’è qualche controllo suppletivo che si supera con scioltezza e la sala centrale occupata dai tavolini e dalle sedie così come previsto dai regolamenti del periodo. Per quanto mi riguarda non è poi così male riuscire a stare seduti in attesa del concerto che non arriva mai puntuale, come si usa da queste parti, e anche ascoltare la musica con una certa comodità non mi dispiace. Certo viene meno quella sana abitudine di stare sotto il palco, di attaccarsi alle vibrazioni della musica, di pogare, urlare e sbattersi. Ma è un prezzo che si paga volentieri e ci sarà il tempo per recuperare.
Il nuovo corso del Fabrik rappresenta al meglio la voglia di riappropriarsi del proprio destino e riprendere la sana abitudine di vivere in un contesto più umano sempre più sconvolto dai limiti del proprio tempo. Piero Bonetti è una figura stoica che, con incredibile caparbietà, continua a credere in un sogno che dura da tanti anni, insistendo, con coraggio, nel proporre musica dal vivo, nonostante le infinite insidie di questo agire, un sfida al tempo e alla noia. Per fare questo e ripartire, il Fabrik ha deciso di puntare sulle migliori espressioni del rock nostrano, con biglietti accessibili a tutte le tasche e consumazioni a giusti prezzi. La presenza del pubblico conferma che questa è la strada giusta e si percepisce negli sguardi la sensazione di essere di nuovo vivi e pronti a nuove sfide, come se fosse il primo giorno di un nuovo divenire. E la programmazione di questo inizio d’anno è piuttosto interessante: Polychrome, White Fang, Joshburger, Kids of the Khole, gli intramontabili Hangee V, Emanuele Pintus, TheLupi, Cinotz, e poi la dodicesima edizione di Vynil Sardinia e nei prossimi mesi nomi storici come gli Skid Row e God is an Astronaut. Ma questo è solo un elenco parziale e in via di definizione.
Sabato 5 febbraio è stata Ia volta dell’esibizione dei Barmudas che arrivano in città per presentare il loro nuovo e primo LP fresco di stampa, quell’Every Day Is Saturday Night pubblicato dalla gloriosa label Area Pirata – di cui abbiamo anche parlato sul sito de Sa Scena e che ritroverete in formato fisico nell’annuario 2021. Una band di sano e onesto rock’n’roll che ha come base Firenze, ma i cui componenti arrivano da diverse parti della penisola e il cui forte legame con l’isola nostra è rappresentato dal suo frontman Umberto Smendock Manduchi che li ha fortemente voluti su questo palco. Dopo una lunga permanenza in Toscana, Umberto è tornato in Sardegna e, sebbene immagini che non sarà facile riuscire a tenere in piedi una band senza fissa dimora e la vita che ti manda alla deriva senza troppi preavvisi, poco importa: sono le logiche della condizione umana e degli artisti in particolare. Quello che conta è averli visti per una sera suonare con passione, con onestà, divertirsi e far divertire. La loro proposta è tanto classica quanto imperitura e immortale: una ricetta standard preparata senza nessun additivo e senza sofisticazioni di sorta. Puro rock che richiama gli Stones prima maniera e tutto quello che nei secoli dei secoli si è succeduto con infinite declinazioni di stile e nelle svariate liturgie: glam, punk, garage, psichedelia e via di questo passo. Il tutto elargito con naturale e innocente partecipazione, al di là di ogni possibile rigurgito nostalgico e senza scimmiottamenti di sorta che spesso diventano patetiche parodie di un mondo che non c’è più. Ma loro sono persone serie e fanno musica con la giusta partecipazione e anche con una non trascurabile perizia tecnica. La band gira bene, la ritmica è precisa ed essenziale ed è la chitarra elettrica a far da regia in mezzo al campo e creare le giuste coordinate per la voce di Umberto che dà tutto quello che può senza eccedere e senza strafare. Tutto qui per una sana serata di buon rock che riconcilia con il mondo e ci riporta a una dimensione terrena, materiale e tanto agognata da far emozionare anche gli spiriti più duri. Oltre al set dei Barmudas la serata ci ha regalato anche le selezioni musicali di Toprak Basgit che prima e dopo il set smanetta quarantacinque giri manco fossimo al Cavern di Liverpool nei primi anni Sessanta del vecchio secolo.