Il punk non è morto, sta bene e ha una multiproprietà nel Nord Sardegna. Ne sono dimostrazione le recenti release, a partire da Sangue, Delirio, Earthfall sino – e così arriviamo al Disco della Settimana – agli olbiesi Amesua. Il loro ultimo album si intitola Punto, “un disco nato dal deserto, dalla guerra, dalle persone (…) dall’esigenza di dare un contorno a questi ultimi anni confusi e per segnare un nuovo inizio”.
Ancora una volta, alla base di un disco punk hardcore c’è un’esigenza, una mancanza, come se, a ragione, la mole di impatto sonoro fosse in grado di esercitare un effetto taumaturgico, in primo luogo sui musicisti stessi.
I cinque Amesua utilizzano quella declinazione dell’hardcore più propriamente detta emo, termine che ingiustamente ha subito una ghettizzazione nei primi 2000 venendo associato solo a frange, spille e lamette, dimenticando nomi, che nel tempo hanno caratterizzato la scena, del calibro di Embrace, The Lapse, At The Drive-In e, scavando nel filone italiano, Fine Befeore You Came, Gazebo Penguins, The Death of Anna Karina e basta che poi viene la nostalgia. Ma alla radice etimologica del genere, e del lemma, ci sono l’emozione e l’emotività e queste grondano e trasudano dalle note di Punto.
Il cantato in italiano e le liriche distribuiscono perle che, se non avessimo perso l’abitudine di lasciarci travolgere dalle cose, sarebbero da appuntare sul diario, come “la libertà finisce dove inizia il senso di colpa” o “nella destra la pistola, nella sinistra il dolore”. Ed è proprio il rapporto conflittuale tra rabbia e dolore, inseriti in una sorta di materialismo dialettico dell’animo, motore della storia di ciascuno, a tracciare il leit motiv dell’intero disco.
Gli Amesua si meritano così di essere incasellati di diritto, oltre che nel suddetto sottogenere, nel reparto, forse più letterario, ma altrettanto evocativo dello spleen. E niente di strano che l’attuale declinazione di quello stato d’animo – caratterizzato da una profonda malinconia e insoddisfazione – preveda distorsori e rullante dritto in faccia, checchè ne dicano i moderni chansonnier e la loro melensa banalità.
Perché ci vuole sensibilità di quella vera per far venir fuori il giusto magone, “come le canzoni tristi quando fuori piove”.